Il 35enne ingegnere informatico autore della strage di Ardea aveva mostrato per anni il suo lato oscuro senza che nessuno se ne accorgesse.Lato oscuro fatto di foto postate c on commenti tipo “Sono colui che attraversò l’abisso delle ére e si soffermò sul ciglio dell’umanità”.
E ancora romanzi noir ambientati nella terra dei Druidi, antichi sacerdoti celti avvezzi ai sacrifici umani. Era questo il misterioso assassino di Ardea che ha deciso di diventare un sanguinario protagonista delle sue fobie e di usciore in strada una tranquilla domenica di quasi estate e uccidere sneza alcun motivo i fratellini David Fusinato e Daniel Fusinato, di 5 e 10 anni, e il pensionato, Salvatore Ranieri di 85 anni.
“Andrea soffriva di manie di persecuzione. Si sentiva osservato, seguito. Era convinto che tutto il mondo ce l’avesse con lui, compresi noi genitori e la sorella. Diceva che ci eravamo tutti coalizzati contro di lui, anche i colleghi dell’ufficio di consulenza in cui lavorava”. Ha raccontato ai giornalisti romani Rita Rossetti, 64 anni, la mamma di Andrea. E poi ha anche spiegato: “L’ho visto rientrare in casa con la pistola, era trafelato e confuso, il viso tirato, ho capito subito che aveva combinato qualcosa di molto brutto e sono uscita fuori”.
Cominciano nella giornata di oggi all’istituto di medicina legale dell’università di Tor Vergata le autopsie delle tre vittime dell’azione assassina compiuta domenica ad Ardea, nella zona di Colle Romito, da Andrea Pignani, che poi si è tolto la vita. Gli esperti nominati dalla Procura di Velletri dovranno esaminare, a partire da giovedì, anche il corpo dello stesso killer. Per Pignani, inoltre, è stato disposto anche l’approfondimento degli accertamenti tossicologici. Gli inquirenti sul caso hanno avviato una indagine a carico di ignoti.
Sono ancora molti i punti oscuri su cui stanno indagando i carabinieri coordinati dalla procura di Velletri, primo fra tutti il mistero della pistola custodita senza permesso da Pignani. Il 35enne, ingegnere informatico, infatti sembra aver nascosto l’arma, una Beretta modello 81 calibro 7,65, di proprietà del padre – che fino al 1986 era stato una guardia giurata – morto diversi mesi fa. Anche su questo gli investigatori vogliono vederci chiaro e non è escluso che la madre dell’omicida-suicida venga indagata per detenzione abusiva di arma.
Nella tragedia di domenica emerge anche un buco normativo, come ha ammesso lo stesso ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese: “bisogna capire – ha detto la titolare del Viminale – come mai l’arma utilizzata dall’uccisore era ancora li’ dove non doveva essere”.
Chi eredita un’arma, infatti – e’ questo il caso della famiglia Pignani – per poterla detenere deve immediatamente chiedere l’autorizzazione alle forze dell’ordine
con un apposito modulo cui va allegata la certificazione comprovante l’idoneita’ psico-fisica, nonche’ – tra l’altro – una dichiarazione sostitutiva in cui l’interessato attesti di non trovarsi nelle condizioni ostative previste dalla legge e le generalita’ delle persone conviventi.TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE: Castellammare, uccisero il traditore del clan D’Alessandro: presi i killer
Da parte dei Pignani non e’ stata chiesta alcuna autorizzazione e, dunque, la Beretta era detenuta illegalmente. Ma poteva lo Stato essere al corrente – indipendentemente dalla denuncia della famiglia – che in casa Pignani c’era un’arma senza piu’ un legittimo proprietario ma a portata di mano di una persona con disturbi psichiatrici? Al momento no, perche’ manca un data base comune tra le amministrazioni coinvolte.
“La tracciabilita’ delle armi – ha spiegato Lamorgese – e’ garantita attraverso il Ced (Centro elaborazione dati), ma e’ in via di conclusione un regolamento che disciplina il sistema informatico di questi dati. Speriamo che nel giro di pochissimo questo regolamento, che doveva essere adottato a fine 2018, veda la luce”.
Ad essere ancora bloccato e’ il decreto attuativo del decreto legislativo 204 del 2010, da adottarsi dal ministro della Salute, di concerto con quello dell’Interno, che dovrebbe definire, sentito il Garante della Privacy, “le modalita’ dello scambio protetto dei dati informatizzati tra il Servizio sanitario nazionale e gli uffici delle forze dell’ordine nei procedimenti finalizzati all’acquisizione, alla detenzione ed al conseguimento di qualunque licenza di porto d’armi”.
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