“Napolinegra” di Vincenzo Sbrizzi per IOD Edizioni. Presentazione del libro, domani 9 aprile alle ore 19, in diretta streaming dalla pagina Facebook della casa editrice
Interventi di Hilarry Sedu, Aly Dior Diakite e Daniela Fiore
È uscito il secondo volume della collana “Cronisti scalzi” che la Iod Edizioni ha dedicato a Giancarlo Siani. Si tratta di “Napolinegra” di Vincenzo Sbrizzi. Venticinque storie di persone venute dal mare con la prefazione di Isaia Sales.
La collana nasce con gli auspici della Fondazione Giancarlo Siani onlus.
PREMESSA
Il giornalista originario di Torre Annunziata, vincitore del Premio Giancarlo Siani 2020, racconta le storie di migranti che hanno trovato in Napoli il loro porto sicuro. Storie di sofferenza e di forza fuori dal comune, raccontate in modo crudo e diretto con l’obiettivo di far diventare persone coloro che solitamente vengono considerati numeri. Racconti di famiglie abbandonate da minorenni, torture, rischi, botte, vessazioni, schiavitù, ingiustizie e cieca burocrazia. Ma anche sogni, affetti, coraggio, voglia di normalità. Persone che si sono fidate dell’autore e gli hanno concesso di entrare nel loro mondo, spogliandosi di ogni pudore grazie al coraggio di voler urlare cosa sta ignorando in questo preciso istante l’Occidente. Una strage moderna di cui nessuno vuole farsi carico, con l’aggravante che oggi si hanno tutte le informazioni a disposizione eppure si è deciso di ignorarla.
«Il mio incubo più ricorrente, sin da quando ero adolescente, è quello di trovarmi in mano ai nazisti in un campo di concentramento – scrive l’autore nell’introduzione -. Come tutti gli esseri umani, sono abbastanza codardo da svegliarmi quando nel sonno mi rendo conto che le cose si stanno mettendo male. Parlare con queste persone però mi ha fatto capire che in realtà i nazisti di oggi siamo noi – continua senza mezzi termini -. Lo sono anche io che non sto muovendo un dito. Che a ogni libro che ho letto, a ogni film che ho visto o testimonianza che ho ascoltato sulla Shoah ho sempre esclamato: “Ma com’è possibile che nessuno se ne accorgesse. Com’è possibile che nessuno facesse niente”. Queste persone mi hanno insegnato che invece è possibile perché è quello che stiamo facendo tutti noi in questo preciso istante. I campi di concentramento ci sono in Africa e nell’est Europa ma noi facciamo finta di non vederli. Noi non facciamo nulla. Io non faccio nulla».
Queste parole, come tutte quelle del libro, scelte grazie all’editing di Maria Rosaria Vado, sono dei pugni dello stomaco che l’autore infligge a se stesso e ai lettori. Sassi scagliati contro chi ha deciso di assuefarsi all’orrore. Come la copertina realizzata grazie alla creatività di Gix Musella, esperto in grafica editoriale e della comunicazione, con gli scatti di Alessandra Finelli, che ritrae una pietà nera. E la direzione artistica del giovane editore Francesco Testa.
Una madre che piange un proprio figlio, il simbolo della cristianità dedicato a chi adesso porta sulle proprie spalle le sofferenze del mondo come Maria nell’immaginario cristiano. E poi c’è Napoli, il filo conduttore di tutte queste storie. Lo sfondo lontano dall’oleografia comune sulla città. Una città sporca, bistrattata, insultata, “negra” come i protagonisti delle storie, ma pronta ad accoglierli. Con tutti i propri limiti, i propri difetti, ma come una madre che non fa differenze tra i suoi figli. A tutti riserva le stesse opportunità e gli stessi pericoli. L’unico posto rimasto in Italia dove essere povero non è un delitto. L’unico posto dove i poveri non voltano le spalle agli altri poveri.
ISAIA SALES | Dalla prefazione
«Questo è un libro che non avrebbe bisogno di una prefazione, di nessun incoraggiamento a leggerlo. Mi sono chiesto, mentre provavo a mettere su carta queste riflessioni, che altro potevo aggiungere a ciò che Sbrizzi ha scritto con parole che sono pietre, scolpite con le sofferenze, i dolori e le speranze dei protagonisti. È questo un libro che parla, che grida, che protesta, che angoscia, che scuote. Chi al racconto delle vite travagliate dei migranti reagisce con indifferenza e cinismo non merita l’appellativo di umano».
SINOSSI
Venticinque storie di persone che hanno dovuto affrontare il mare per mettere in salvo la propria vita. Persone rapite e vendute come schiavi nel deserto. Persone che hanno visto la morte appropriarsi di tutto intorno a loro. Storie vere di migranti intervistati dall’autore che in comune hanno il viaggio e la sofferenza ma anche la voglia di prendersi il futuro che hanno sempre sognato. Come Adam che è partito a 14 anni dal Mali per diplomarsi a 25 anni in Italia o come Justina che si è salvata dalla prostituzione grazie a Chris conosciuto in Libia. Come Paboy che ha rimosso completamente le settimane di tortura in Libia o come Rachelle che lì ha perso l’amore della sua vita. Come Saeid arrivato in Italia in un container o come Fata che ha visto un suo amico scomparire nella sabbia. Come Abrar picchiato a sangue tra le strade di Napoli o come Bechir che ha rischiato di morire per un problema cerebrale in attesa dei documenti. E poi le torture subite da Kebe’, da Dimitri, da Abdul o le angherie della burocrazia che i decreti sicurezza hanno alimentato. Venticinque storie di persone che vivono tutti la loro nuova vita a Napoli, città “irregolare” come loro e forse per questo l’unica capace di dargli un po’ di accoglienza.
L’AUTORE
Vincenzo Sbrizzi è un giornalista professionista di Torre Annunziata (Napoli). Nato nel 1984, è laureato in Scienze della comunicazione all’Università degli studi Suor Orsola Benincasa con una tesi in Storia delle mafie, relatore Isaia Sales. Ha frequentato un master in Marketing e comunicazione digitale alla Business school de “Il Sole 24 ore” e masterclass di social media e copywriting al “The Guardian” di Londra. Ha lavorato per Striscia la notizia, Fanpage, Il Mattino, Roma, Optima Italia e attualmente lavora per Napolitoday e Today del gruppo Citynews. Ha pubblicato insieme a Simona Melorio, per Editoriale Scientifica, il saggio “Torre Annunziata: tra camorra e deindustrializzazione” con cui ha vinto il Premio Giancarlo Siani 2020.
NOTA DELL’EDITORE
“Cronisti Scalzi” è la nuova collana della Iod edizioni che ha l’ambizione di raccogliere i racconti, le narrazioni e le storie di giovani cronisti delle periferie, dentro e fuori le mura delle nostre città, impegnati a resistere a un giornalismo che va sempre più adeguandosi al conformismo del pensiero dominante e ai poteri forti. Siamo convinti che oggi più che mai sia necessaria una nuova generazione di cronisti che sappiano vivere, con la mente e con il cuore, i quartieri, i vicoli e le piazze delle periferie degradate, per raccontare con passione i fatti e i volti delle persone che ogni giorno si impegnano per costruire nel loro piccolo una chiara e consapevole alternativa al degrado sociale e allo strapotere dei clan della camorra. Vogliamo dare, così, spazio, insieme ad autorevoli voci del giornalismo d’inchiesta, a quei giovani giornalisti precari, che continuano a essere presenti sul posto, a piedi scalzi, e che conservano la memoria, lo stile e il metodo di Giancarlo Siani, giornalista precario, ucciso dalla camorra la sera del 23 settembre del 1985, e definito da Erri De Luca «cronista scalzo».
«Negli anni Settanta» racconta lo scrittore e intellettuale a noi caro, «ci piacevano della Cina i medici scalzi che andavano nei villaggi a tentare la prevenzione delle malattie. Giancarlo era un giornalista scalzo, non aspettava le notizie per riportarle, ma cercava il meccanismo sanguinoso che le produceva. Erano gli anni dell’arrembaggio, il terremoto aveva raso al suolo la decenza, tutto era lecito per arricchirsi, la vita valeva uno sputo. La malavita si spartiva nel sangue i centimetri dei marciapiedi, sulla città piovevano miliardi ma non riuscivano a toccare terra, tutti intercettati a mezz’aria. Giancarlo conosceva Torre Annunziata, che non è cognome e nome di una signorina ma comune vesuviano digradante sul golfo e degradato mattatoio di morti ammazzati per quasi niente. Giancarlo lì aveva amici e raccoglieva notizie fresche di cose sempre più sporche. Si procurava facilmente la simpatia e la stima, aveva modi semplici per natura e un garbo frutto di educazione familiare. Riusciva a fare conversazione con chiunque in pochi minuti, ma senza fare l’amicone, con misura invece e a bassa voce. Queste doti facevano coppia con un coraggio fisico naturale».
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Articolo pubblicato il giorno 8 Aprile 2021 - 18:18