Oggi e’ finita in carcere accusata di favorire la camorra, perche’ la sua societa’ era manovrata da Antonio Moccia, boss del clan Moccia di Afragola. ”Si tratta del capo indiscusso dell’organizzazione, della persona piu’ di tutti ‘esperta’ della materia anche grazie a quanto imparato dal marito Sergio Di Cesare”, scrive di lei il gip di Roma Tamara De Amicis, nel filone romano dell’inchiesta che ha portato all’operazione ‘Petrol-Mafie Spa’. ”Nulla si muove senza il suo assenso – aggiunge ancora il gip che ha disposto il carcere per la donna – e’ lei che intavola il rapporto con Alberto Coppola e, tramite lui, con tutto il gruppo napoletano dal quale riceve cospicui finanziamenti per la propria attivita’ illecita, remunerando adeguatamente gli investimenti fatti da costoro”. Per lei ”sembra persino superfluo formulare considerazioni ulteriori rispetto a tutto quanto emerso nel corso dell’indagine” sottolinea il giudice.
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Quattro procure al lavoro Roma, Napoli, Catanzaro e Reggio Calabria. Oltre a Bettozzi in carcere un pezzo consistente della sua famiglia: due figli, un nipote, il compagno della figlia e l’avvocato dell’impresa. E ancora il reato di autoriciclaggio aggravato dall’aver agevolato un’organizzazione di stampo mafioso, ovvero i Casalesi perche’ avrebbe consegnato 150.000 euro in contanti all’attore Gabriel Garko, non indagato e chiamato per una pubblicita’. Quei soldi, secondo i pm sarebbero parte dei guadagni illeciti derivanti dai finanziamenti ricevuti dal clan e riciclati attraverso la frode fiscale nel commercio di gasolio. Agli atti dell’inchiesta la telefonata del 28 febbraio 2019 in cui l’attore si lamenta con la Bettozzi perche’ gli e’ arrivato un contratto da 250.000 euro mentre “doveva essere da 100”. Lei lo rassicura: “Abbiamo detto che dopo strappiamo tutto. Scusa, noi abbiamo stabilito 250… 50 te li ho gia’ dati e rimangono 200”. E lui in maniera esplicita: “100 in nero e 100 fatturato… sul contrato va messo il fatturato”. In una telefonata del 4 marzo 2019 Bettozzi parlando con la sorella dice: “Io dietro c’ho la camorra”.
Tra le dieci persone per le quali il gip di Roma Tamara De Amicis ha disposto la misura cautelare in carcere – nell’ambito dell’inchiesta “Petrol-mafie spa” – figura Armando Schiavone, 46 anni, nipote del boss dell’omonima fazione del clan dei Casalesi Francesco Schiavone, detto “Sandokan”. Secondo gli inquirenti, infatti, anche il clan dei Casalesi e’ interessato al redditizio business degli oli minerali, venuto alla luce attraverso l’operazione del Ros dei carabinieri e della Guardia di Finanza, che oggi ha portato i militari a notificare 71 misure cautelari nei confronti di presunti esponenti della camorra e della ‘ndrangheta, e a sequestri per quasi un miliardo di euro. Armando Schiavone entra in contatto con Giuseppe Vivese, 37 anni (anche lui destinatario di una misura cautelare in carcere).
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Si tratta, secondo quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip di Napoli, Maria Luisa Miranda, del nipote di Alberto Coppola, quest’ultimo molto vicino ad Antonio Moccia, ritenuto esponente di vertice dell’omonimo clan. Vivese era gia’ entrato in affari per la commercializzazione dei prodotti petroliferi anche con esponenti di vari clan partenopei (come si evince da una intercettazione del 19 ottobre 2017). Ed e’ proprio attraverso un’altra intercettazione risalente al 6 novembre 2017, che emerge il contatto tra i Moccia e “quelli di Casale”: “Non gli dai un euro in mano, – dice Vivese parlando con il suo interlocutore – sembrano dei mongoloidi… quello con gli occhiali e’ Armando Schiavone, il nipote del ‘barbone’ (uno degli alias del capoclan Francesco Schiavone, ndr) … quelli sono soci nostri. Quando gli presentai zio Alberto, loro lo chiamavano don Alberto”.
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