Due spie molecolari che aprono la strada alla diagnosi precoce, sono pubblicate sulle riviste Diagnostics e Scientific Reports e si devono alla Task Force Covid 19 del Ceinge-Biotecnologie avanzate di Napoli, finanziata dalla Regione Campania e coordinata dal genetista Massimo Zollo.
Attualmente, rilevano i ricercatori, non è possibile la diagnosi precoce dell’infezione da SarsCoV2. Anche quando si ottiene un risultato positivo al test molecolare, infatti, non è possibile determinare alcune caratteristiche, che sarebbero invece molto utili ed importanti dal punto di vista epidemiologico. Informazioni, rilevano, ancora più importanti se la persona con l’infezione è stata vaccinata e fondamentali per stabilire la terapia.
La prima scoperta è pubblicata sulla rivista Diagnostics da Ettore Capoluongo e Massimo Zollo, dell’Università Federico II di Napoli e principal investigator del Ceinge, con il supporto del Coronet Lab del Ceinge. Il risultato apre la strada al primo kit per misurare la carica virale, ossia il numero di copie del materiale genetico del virus in un millilitro di materiale biologico prelevato con il tampone. Le spie molecolari della capacità del virus di moltiplicarsi si chiamano sgN e sgE e sono una sorta di registi del processo di replicazione del virus. Soprattutto sgN è legato a una maggiore carica e infettività virale e secondo Capoluongo, “potrebbe rivelarsi utile anche nelle strategie vaccinali”.
Il test capace di rilevarlo è pronto e “coperto da brevetto”, dice l’amministratore delegato del Ceinge, Mariano Giustino. “Abbiamo già avviato contatti – aggiunge – per la produzione di un kit per applicazioni cliniche”.
La seconda scoperta, che permette di prevedere se la malattia avrà un decorso grave analizzando un campione di sangue, è pubblicata su Scientific Reports dal gruppo del Ceinge guidato da Margherita Ruoppolo e Giuseppe Castaldo, dell’Università Federico II di Napoli. La spia che si cerca nel sangue è la famiglia di molecole chiamate ceramidi. Sono sfruttate dal virus per replicarsi e il gruppo del Ceinge ha scoperto che il livello della loro concentrazione rivela se la Covid-19 assumerà o meno una forma grave.
“E possibile pensare di poter utilizzare tali marcatori per valutare l’efficacia del trattamento terapeutico dell’infezione da coronavirus in pazienti affetti da una forma grave”, osserva Ruoppolo. “Per le varie applicazioni cliniche di questo test – afferma Giustino – abbiamo depositato l’idea e siamo in attesa del brevetto definitivo”. Per il presidente del Ceinge, Pietro Forestieri, le due ricerche sono “tra i più interessanti risultati ottenuti” dalla Task Force Covid-19 del Ceinge che “da mesi, grazie a finanziamenti regionali, lavora su tre fronti: genetica, diagnosi e terapia. Ci auguriamo – conclude – di poter contare su ulteriori finanziamenti per portare a termine ulteriori ricerche estremamente promettenti”.
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