foto archivio
Marcianise. Sono passati, in meno di due anni, da una multinazionale Usa dell’elettronica come la Jabil ad aziende molto più piccole, ma non hanno ripreso a lavorare come era nei piani del colosso americano, che ha anche pagato per ricollocarli.
E’ il destino di oltre duecento lavoratori fuoriusciti dal giugno 2019 dallo stabilimento Jabil di Marcianise, perché ritenuti in esubero rispetto ai bassi carichi di lavoro dell’azienda; 350 gli esuberi totali dichiarati dalla Jabil su 700 addetti complessivi. Un’azienda, quella americana, che pure ha 120 siti produttivi in giro per il Mondo e tante commesse. Gli ex Jabil, passati in società come Softlab (settore informatico) e Orefice (produzione generatori elettrici), continuano a vivere nel “limbo” della cassa integrazione, proprio come quando erano in Jabil; nulla è cambiato per loro, perché Softlab e Orefice non hanno ancora fatto sapere come intendono concretamente riutilizzarli.
E allo stabilimento di Marcianise della multinazionale Usa ci sono ancora 120 lavoratori da ricollocare entro il termine in cui scadrà la norma statale che dispone lo stop ai licenziamenti causa pandemia; senza ricollocazione, scatteranno i licenziamenti. I sindacati, che lunedì 23 marzo avevano realizzato un presidio fuori alla prefettura di Caserta, tornano a farsi sentire, annunciando la presenza domani al presidio all’esterno del Mise a Roma, ed evidenziando in una nota unitaria come siano al palo i progetti di reindustrializzazione che avrebbero dovuto riguardare gli ex Jabil in esubero e le aziende che li assumevano, peraltro ben pagate dalla stessa Jabil, e come sia importante a tal proposito sfruttare le risorse del Recovery Fund.
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