La Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza di assoluzione, con la formula “il fatto non sussiste”, per Pasquale, Carmine ed Antonio Zagaria, fratelli del boss dei Casalesi Michele Zagaria, per Filippo, Raffaele e Francesco Capaldo, nipoti del boss (sono i figli di Beatrice Zagaria), e per gli altri tre imputati Ciro Benenati, Pasquale Fontana e Nicola Diana; tutti, gia’ assolti in primo grado, erano accusati di estorsione con l’aggravante mafiosa commessa nei confronti dell’imprenditore del settore lattiero-caseario Roberto Battaglia, che aveva denunciato gli Zagaria, finendo anche sotto scorta (il dispositivo di sicurezza gli e’ stato revocato un anno e mezzo fa).
La Procura generale aveva chiesto per tutti condanne da sei a 14 anni di carcere, ma i magistrati d’appello hanno condiviso l’impostazione dei difensori degli imputati, che puntavano sull’inattendibilita’ di Battaglia, emersa dalle dichiarazioni del pentito Massimiliano Caterino, ex braccio destro del boss Michele Zagaria, che aveva raccontato che Battaglia era amico dei fratelli Zagaria tanto da aver preso parte anche al matrimonio di Carmine Zagaria.
Battaglia, difeso da Gianluca Giordano e Carlo De Stavola, ha sempre sostenuto che era stato costretto a partecipare all’evento. Dalle indagini messe in moto dalle denunce di Battaglia, e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di NAPOLI, era emerso che Battaglia era stato costretto a vendere parecchi beni aziendali per rientrare da un debito usuraio di 600 milioni di lire; i soldi gli erano stati prestati dell’imputato Ciro Benenati, titolare di una concessionaria d’auto, che e’ stato condannato in un diverso processo a 4 anni per usura con l’aggravante mafiosa.
Lo stesso Benenati si sarebbe poi rivolto agli Zagaria per recuperare il credito verso Battaglia, che sarebbe rimasto vittima di minacce e pressioni fino ad essere costretto a vendere beni per dare i soldi agli Zagaria; i giudici non hanno pero’ creduto a Battaglia, ritenendolo vicino ai fratelli del boss. I legali di Battaglia avevano anche chiesto di sentire il collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio del capoclan Francesco “Sandokan” Schiavone, che aveva raccontato che Benenati era un venditore d’auto a disposizione del clan, ma la Corte ha rigettato la richiesta. Nel collegio difensivo degli imputati c’erano, tra gli altri, Andrea Imperato, Angelo Raucci, Romolo Vignola.
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