La mannaia della Dda si abbatte sul clan D’Alessandro dopo 30 anni: trecento anni di carcere.
E’ questa la richiesta complessiva nei confronti di una ventina di imputati del vecchio processo Sigfrido che ieri mattina ha formulato il pm Giuseppe Cimmarotta nel corso della sua requisitoria davanti al Tribunale di Torre Annunziata. I reati contestati risalgono agli anni ’90, e tra l’altro alcuni capi d’imputazione sono vicini alla prescrizione. Il processo si era già celebrato con pesanti condanne arrivate nel 2004 ma cancellate dalla Cassazione nel 2010, che inviò nuovamente tutti gli atti alla Procura Antimafia di Napoli per ripartire dall’udienza preliminare perché non si era mai stata celebrata.
In questo processo quasi tutti i collaboratori di giustizia hanno deciso di non testimoniare in aula. Le pene più severe sono state chieste per i due indicati come i capi delle due fazioni che in quel periodo si affrontarono a suon di morti eccellenti.
Il pm ha chiesto infatti 30 anni di carcere ciascuno per Pasquale D’Alessandro primogenito del defunto boss e fondatore del clan Michele D’Alessandro e Raffaele Di Somma detto o’ ninnillo che era stato fino a quel momento uno dei killer più “prolifici” della stessa cosca di Scanzano. Chiesta invece la condanna a 20 anni ciascuno per Luigi Vitale o’ mariuolo, Francesco Apadula o’ muss, l’imprenditore Ciro Castellano detto Cirillino che da anni si è rifugiato in Romania dove insieme con il fratello gestisce locali notturni, e poi ancora Antonio Rossetti ’o guappone, Carmine Caruso e Alfonso Sicignano.
Per Ernesto Mas, partente di Di Somma la richiesta è stata di 17 anni di reclusione, e 16 anni per il pentito Ciro Avella. Chiesta ancora la condanna a 10 anni per Antonio Nocerino, infine 7 anni
ciascuno per Michele Abruzzese, Nicola Martinelli, Maurizio Del Sorbo e Luigi Polito. Nelle prossime tre udienze la parola passa agli avvocati difensori.
Articolo pubblicato il giorno 5 Marzo 2021 - 09:15 / di Cronache della Campania
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