Sono i nuovi dati forniti dall’azienda al Data Safety Monitoring Board americano, dopo la richiesta degli Usa di risultati piu’ aggiornati rispetto a quelli presentati il 22 marzo. L’analisi primaria dello studio di fase III negli Stati Uniti, riferisce in una nota l’azienda, hanno confermato l’efficacia del vaccino “coerentemente con l’analisi ad interim presentata nei giorni scorsi”. Nel dettaglio, l’analisi ha rilevato 190 casi sintomatici sui 32.449 partecipanti allo studio, 49 in piu’ rispetto ai dati comunicati in precedenza.
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L’efficacia del vaccino nella prevenzione del Covid sintomatico e’ risultata del 76% (intervallo di confidenza dal 68% all’82%), 15 giorni o piu’ dopo aver ricevuto due dosi somministrate a quattro settimane di distanza. L’efficacia sale all’85% negli adulti di eta’ pari o superiore a 65 anni. Mentre rispetto all’endpoint secondario chiave, ossia la prevenzione dei sintomi piu’ seri e dell’ospedalizzazione, ha dimostrato un’efficacia del 100%. Ci sono stati otto casi di malattia grave durante lo studio, tutti nel gruppo che aveva ricevuto il placebo.
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“Il vaccino e’ stato ben tollerato – riferisce ancora AstraZeneca
– e non sono stati identificati problemi di sicurezza”. Mene Pangalos, Vicepresidente esecutivo, Ricerca e sviluppo biofarmaceutici, ha dichiarato: “L’analisi primaria e’ coerente con la nostra analisi provvisoria rilasciata in precedenza e conferma che il nostro vaccino e’ altamente efficace negli adulti, compresi quelli di eta’ pari o superiore a 65 anni. Non vediamo l’ora di presentare la nostra richiesta di autorizzazione all’uso di emergenza negli Stati Uniti e di prepararci per il lancio di milioni di dosi in tutta l’America”. AstraZeneca presentera’ i dati per la pubblicazione peer review nelle prossime settimane.I dati piu’ aggiornati, con l’aggiunta dei casi positivi nel gruppo dei vaccinati non riportati in precedenza, riportano quindi un’efficacia leggermente inferiore rispetto alla prima analisi presentata: il 76% contro il 79% iniziale. Le autorita’ federali Usa che avevano chiesto un’ulteriore analisi perche’ i primi dati erano stati considerati frutto di “informazioni obsolete”: risalivano infatti a prima del 17 febbraio, e il Niaid (il National Institute of Allergy and Infectious Diseases) guidato da Anthony Fauci aveva osservato che questo avrebbe potuto condizionare l’analisi finale per il rischio di non tenere conto adeguatamente della diffusione delle varianti del virus, che nel frattempo hanno dilagato in tutto il mondo. L’azienda anglo-svedese si era impegnata il 23 marzo a fornire nuovi dati “entro 48 ore”.
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