Il piccolo vive in una casa famiglia e il Tribunale dei Minorenni di Napoli, attraverso una sentenza, lo ha dichiarato adottabile. “La vicenda è frutto delle indagini eseguite dai Servizi Sociali di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta – fa sapere l’avvocato Giuseppe Alesci, legale della donna – secondo cui il bambino viveva in uno stato di abbandono.
Per gli assistenti il piccolo era anche vittima di presunti maltrattamenti, accuse però infondate e mai provate, – precisa l’avvocato – e chiunque conosca la signora Pellegrino la definisce come una madre attenta, premurosa amorevole e apprensiva”. Secondo Alesci, la sentenza di primo grado “è stata alquanto privata della sua naturale tenuta razionale” perché, sottolinea, “non può accettarsi che il giudicante di primo grado abbia attribuito ancor prima del giudice penale la responsabilità penale in capo alla signora Pellegrino dei presunti maltrattamenti”.
“E’ altresì scandaloso – per il legale di Daniela Pellegrino – escludere la nonna materna dell’affido del minore in quanto definita ‘non in grado di soddisfare i bisogni del nipote’, una valutazione frutto di appena tre incontri da me richiesti e concessi alla nonna, durati appena dieci minuti, neanche il tempo di un abbraccio”.
E’ per questo, secondo il legale, “che si sia proceduto con grande superficialità nelle valutazioni”. La sostanza, dice ancora Alesci, “è che si tratta di una decisione che lascia amareggiati, poiché separa duramente un bambino dai suoi affetti importanti e dall’amore di una madre senza alcun fondamento. Ma oggi ci sarà il processo in Appello avverso la sentenza di primo grado e confido nella giustizia”.
Per la criminologa Antonella Formicola, che assiste la donna insieme con l’avvocato Alesci, “mettere un minore in casa famiglia è un fatto che dovrebbe accadere molto raramente, solo in situazioni estremamente gravi. Dovrebbe essere un’eccezione e mai una regola. La casa famiglia, prosegue la criminologa, è in alcuni casi fondamentale per il recupero del minore e del rapporto di genitorialità, ma la permanenza del minore in struttura dovrebbe concludersi in tempi brevissimi cercando sempre di restituirlo ai propri affetti alla fine del percorso. L’obiettivo dell’accoglienza – spiega – dovrebbe essere proprio il reinserimento del minore nel contesto familiare ed affettivo e nel caso di Daniela Pellegrino non è stato così. A lei è stata negata ogni possibilità di recuperare il suo bambino”.
“Confidiamo nella giustizia, – conclude Formicola – e nel buon senso di tutti gli operatori, certi e sicuri che ogni equivoco verrà chiarito e questa madre presto tornerà ad abbracciare suo figlio”.
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