E’ quanto scrive monsignor Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, in una lettera pubblicata nel nuovo numero di ‘Vita pastorale’.
“Non riesco a pensare al mio sacerdozio senza ricordare il volto di poveri, sofferenti, emarginati, che hanno convertito la mia vita dall’illusione di garanzie che non hanno nulla a che fare con il Vangelo di Gesù”, prosegue il presule.
“Non riesco a pensare al Cristo senza il bene seminato nella mia storia da tanti laici e preti impegnati dalla parte degli ultimi”. “Sento molto in me le parole di papa Francesco: ‘Desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi conoscono il Cristo sofferente. E’ necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro’ (EG 198) – dice ancora monsignor Battaglia -.
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La presenza dei poveri in mezzo a noi non è frutto del caso, ma conseguenza dello strutturarsi peccaminoso di relazioni. Le nostre comunità hanno bisogno di una presa di responsabilità condivisa: i poveri ci sono e dobbiamo chiederci perché continua ad accadere”.
Secondo l’arcivescovo di Napoli, “la pandemia ha accentuato l’inconsistenza di un sistema malato che produce morte. Non possiamo più chiudere gli occhi, non possiamo più rimandare, dobbiamo scegliere quale stile di vita preferire. La nostra fede ci chiede onestà di sguardo”. “Una Chiesa che si desidera povera, sinodale, in stato permanente di missione, è chiamata a compromettersi con la vita, con il Signore, con le fatiche degli uomini e delle donne di questo tempo – spiega -.
Il discepolo di Gesù non fugge la povertà e i poveri: li sceglie. Questa cura radicale da vivere e da scegliere è il segno più vero dell’amore di Dio in noi. Siamo chiamati ad abitare la complessità di questo tempo”. Monsignor Battaglia ritiene “che la vera sfida oggi sia il discernimento. Viviamo sulla nostra pelle il conflitto tra salute, lavoro, economia; ci sentiamo sottratta la serenità per riconoscere le priorità in quanto tutto è urgente e ciò che è importante va in secondo piano”.
“Stiamo vivendo la perdita dei nostri anziani, di coloro che erano, sono, per noi, i riferimenti di una formazione delle coscienze ancora possibile – aggiunge -. Il virus ci sta impoverendo, ci sta sottraendo la vera ricchezza. Siamo prostrati da tanto dolore”. “Abbiamo bisogno di parole che sappiano contagiare gli sguardi di solidarietà, sguardi capaci di chiedere e di dare fiducia. La nostra vita ha bisogno di tornare all’essenziale delle relazioni, della condivisione, del racconto e della narrazione, dell’accoglienza, della solidarietà, dell’ospitalità”, conclude: “Non sprechiamo questa occasione, chiediamoci che cosa avevamo bisogno di ritrovare, di capire in maniera nuova, e che cosa ci è chiesto di perdere, lasciare, per concentrarci sull’essenziale e superare la tentazione dell’indifferenza”.
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