Ritenuto responsabile delle pagine più sanguinarie della criminalità organizzata di tutta la Campania, che vanno dalla fine degli anni ’70 alla fine degli anni ’80. Cutolo è stato giudicato colpevole anche degli omicidi dell’ex vicedirettore del carcere di Poggioreale Giuseppe Salvia e per il delitto di Marcello Torre, avvocato e sindaco di Pagani.
Raffaele Cutolo, ‘o professore nonostante abbia solo una licenza elementare, e’ figlio di un mezzadro e di una lavandaia di Ottaviano, Michele e Carolina Ambrosio. Nasce il 4 novembre 1941 e la sua carriera criminale l’ha costruita nella cornice di avventure romanzesche e forse romanzate. Poeta e duellante con la ‘molletta’ dentro un carcere; pazzo per finta o per davvero; evaso dal manicomio giudiziario di Aversa; latitante, padre che vede l’unico figlio maschio ed erede ucciso dalla ‘ndrangheta; l’uomo che forse ha ispirato il celebre ‘professore’ di Fabrizio De Andre’ e probabilmente ha urinato sulle scarpe di Toto’ Riina come racconta un pentito.
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A 22 anni commise il suo primo omicidio, il 24 settembre 1963, durante una rissa; la vittima e’ Mario Viscito, che ha fatto un apprezzamento di troppo alla sorella di Cutolo, Rosetta, la donna che lo ha affiancato anche anni dopo nella gestione del potere criminale. Ha riconosciuto due figli, Roberto, nato dalla breve relazione con Filomena Liguori, e Denise, figlia di Immacolata Iacone, la donna che sposera’ nel carcere dell’Asinara, concepita con l’inseminazione artificiale e che lo vedra’ sempre dietro le sbarre. Due i nipoti, Raffaele, 34 anni, suo omonimo, e Roberta, 30 anni, entrambi figli di Roberto, pregiudicato, ucciso a Tradate, in Lombardia, da affiliati della ‘ndrangheta il 19 dicembre 1990, per volonta’ di uno dei maggiori antagonisti di Cutolo, il boss vesuviano Mario Fabbrocino.
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Nel corso di uno dei suoi periodi di latitanza, ha avuto una relazione con Lidarsa Bent Brahim Radhia, una donna tunisina a cui dedichera’ una poesia, che dara’ alla luce Yosra. Nel 1980 Cutolo acquisto’ da Maria Capece Minutolo, vedova del principe Lancellotti di Lauro, il Castello Mediceo, a Ottaviano, poi confiscato nel 1991 e ora del Comune del paese vesuviano, quello in cui i suoi genitori avevano lavorato come guardiani, pagandolo 270 milioni di lire. E’ stato condannato a quattro ergastoli da scontare a partire dal 1995 in regime di 41 bis. Il boss ha piu’ volte criticato tale regime che, a suo parere, viola i diritti umani. Per il primo omicidio, Cutolo ebbe una condanna a 22 anni in Appello, che comincia a scontare nel carcere di Napoli-Poggioreale. Ed e’ in questo istituto di pena che emergono la sua personalita’ e il suo carisma, quando, nelle dinamiche di relazione dei detenuti, sfida a duello il boss Antonio Spavone, una sfida con il coltello a scatto, la molletta, alla quale questi non si presento’.
Cutolo diventa il protettore di tutti i detenuti. Nel 1970 torna libero per decorrenza termini e si occupa di contrabbando di sigarette, un business lucroso che lo mette in contatto con la mala pugliese e poi con le ‘ndrine dei Mamolito, dei Cangemi e dei De Stefano. Viene di nuovo arrestato nel 1971, ed e’ di nuovo a Poggioreale che medita la nascita della Nuova camorra organizzata. Un modello nuovo di clan, basato sui meccanismi piramidali (picciotto, camorrista, sgarrista, capozona e santista) della mafia siciliana e della ‘ndrangheta, con affiliazione attraverso rituali di ispirazione massonica e culto della personalita’ del capo; ma soprattutto una concezione della criminalita’ organizzata ideologizzata, con una ispirazione meridionalista e ribellista, dotata pero’ anche di una capacita’ economica, tanto che Cutolo vuole accanto a se’ un imprenditore, Alfonso Rosanova, capace di moltiplicare il denaro che proviene dagli affari illeciti.
E poi c’e’ l’organizzazione paramilitare, la base di picciotti giovani e spietati reclutati nel sottoproletariato desideroso di riscatto e di denaro facile. Sulla sua vita sono stati scritti miriadi di articoli, libri e sono stati anche girati dei film. E’ stato anche coinvolto nelle trattative per la liberazione di Ciro Cirillo, uomo della Dc campana della corrente di Antonio Gava rapito dalle Brigate rosse nell’aprile 1981, vicenda complessa sulla quale non c’e’ ancora chiarezza.
Don Raffaele rilascio’ delle dichiarazioni agli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (il pm Ida Teresi e il capo della Dda dell’epoca, Giuseppe Borrelli, attuale procuratore a Salerno) rivelando di avere avuto addirittura la possibilita’ di impedire l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Furono parole “pesanti” quelle pronunciate dal professore, messe a verbale il 25 ottobre del 2016: “Potevo salvare Moro ma fui fermato”. “Aiutai – spiego’ Cutolo – l’assessore Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”.
“Potevo salvare Moro, fui fermato”. L’ultima verita’, o almeno la sua, di Raffaele Cutolo sul suo ruolo nei rapporti tra Brigate Rosse, Servizi segreti, politici, risale a cinque anni fa. Racchiusa in un verbale di un interrogatorio. “Aiutai – questo il racconto del superboss morto oggi – l’assessore regionale Ciro Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”. Le dichiarazioni di Cutolo risalgono al 25 ottobre del 2016, come risposte alle domande del pm Ida Teresi e del capo di allora della Dda, Giuseppe Borrelli. L’interrogatorio di Cutolo si svolse nel supercarcere di Parma, dove il boss venne ristretto per scontare quattro ergastoli ed avvenne nell’ambito dell’indagine sul percorso criminale del suo luogotenente storico, Pasquale Scotti, arrestato dopo 30 anni di latitanza.
Il contenuto di quell’interrogatorio – di cui riferi’ Il Mattino – venne alla luce grazie al procedimento amministrativo dinanzi al Tar scaturito dalla decisione dei pm di bocciare la collaborazione di Scotti. Cutolo si concentro’ in particolare sulla trattativa intercorsa per la liberazione dell’assessore regionale Ciro Cirillo rilasciato il 27 aprile del 1981 pochi mesi dopo il rapimento e il pagamento di un riscatto di 1 miliardo e 400 milioni di lire. Nel periodo in cui era recluso nel carcere di Ascoli Piceno, proprio quando fu intavolata la trattativa per la liberazione di Cirillo, Cutolo racconto’ di aver incontrato diversi politici venuti a perorare la causa dell’assessore Dc. Poi parlo’ del suo mancato coinvolgimento nella possibile trattativa per Moro e disse che il ministro dell’Interno dell’epoca, Francesco Cossiga, “si rifiuto’ di incontrarmi” essendo del resto Cutolo in quel momento un latitante.
Due, comunque, le diverse versioni sui mediatori che sarebbero scesi in campo per chiedergli di salvare la vita ad Aldo Moro. Nell’interrogatorio ai pm napoletani Cutolo riferi’ che “Michelino Senese (camorrista che viveva a Roma, ndr) me lo propose quando ero latitante”. Ai pm romani che lo interrogarono nello stesso periodo fece invece il nome di Nicolino Selis, esponente della banda della Magliana (circostanza della quale aveva riferito il Corriere della Sera nel 2016). Da Cutolo messaggi in codice sempre sulla vicenda Cirillo (“avevamo dei documenti da usare contro i politici per i fatti della trattativa: alcuni li aveva Enzo Casillo – uno degli uomini di punta della Nco, poi ammazzato nella guerra di camorra, ndr – altri documenti invece li ho io ma moriranno con me”. Cutolo con la sua morte si porta nella tomba questi segreti ma anche tanti altri riferiti a pezzi deviati dello Stato degli anni Ottanta.
L’ultima volta che ha fatto parlare di se’ e’ stata a meta’ 2020, per la complessa vicenda legata alla sua malattia e alla circolare del Dap a marzo che consentiva a detenuti anche al 41 bis di andare ai domiciliari se anziani e con patologie. E il boss entrato nella leggenda gia’ da vivo come ‘o professore era anziano, 80 anni molti dei quali passati in molti istituti di pena italiani, e malato. Il 19 febbraio 2020 infatti era gia’ stato ricoverato all’ospedale civile di Parma per una crisi respiratoria e aveva anche rifiutato cure e tac. Dimesso a inizio aprile, e tornato nel carcere di Parma, il suo avvocato, Gaetano Aufiero, aveva chiesto i domiciliari al tribunale di Reggio Emilia a causa delle condizioni di salute, ma l’istanza venne respinta poiche’ puo’ essere curato in cella, le sue patologie non erano “esposte a rischio aggiuntivo”, dato che il regime di 41 bis gli permetteva “di fruire di stanza singola, dotata dei necessari presidi sanitari”.
Cutolo riprova a reiterare la richiesta e il 10 giugno il tribunale di Sorveglianza di Bologna la rigetta di nuovo: “Si puo’ ritenere che la presenza di Raffaele Cutolo potrebbe rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, gruppi rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma”, scrivono i giudici. Per Cutolo “non appare ricorrere con probabilita’ il rischio di contagio da Covid-19”, e, “nonostante l’eta’ e la perdurante detenzione rappresenta un ‘simbolo’ per tutti quei gruppi criminali che continuano a richiamarsi al suo nome”.
La sua presenza “potrebbe rafforzare i gruppi criminali che si rifanno tuttora alla Nco, gruppi rispetto ai quali Cutolo ha mantenuto pienamente il carisma. In tanti anni di detenzione non ha mai mostrato alcun segno di distacco dalle sue scelte criminali”. Il 30 luglio 2020 e’ trasferito dal carcere di nuovo in ospedale. Per l’avvocato non e’ piu’ lucido, dato che la moglie e’ andata a trovarlo il 22 giugno e Cutolo non l’ha riconosciuta.
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