“Il caso Cirillo è stato la fine di Raffaele Cutolo. Pensava di fare il grande salto, avendo intrecciato rapporti strettissimi con la Dc e con i Servizi segreti: ma poi lo mollarono”.
Lo dice il giudice Carlo Alemi in un’intervista rilasciata a La Repubblica, a proposito del sequestro dell’allora assessore regionale democristiano Ciro Cirillo – rilasciato a luglio del 1981 – ad opera delle Brigate Rosse .
Aggiunge: “Fu la prima trattativa fra Stato e mafia riconosciuta nelle sentenze. Si era in pieno post terremoto del 1980. I Servizi segreti non cercarono di liberare l’ostaggio, ma trattarono con le Br e con Cutolo che ricevette in carcere, ad Ascoli Piceno, le visite di funzionari dei Servizi, di qualche potente democristiano e dei suoi luogotenenti Enzo Casillo e Corrado Iacolare”.
”Cirillo – dichiara il giudice – fu liberato e le Br ottennero un miliardo e mezzo di lire oltre al trasferimento di qualche loro esponente in altre carceri”.
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Su Cutolo il giudice sottolinea che, “lo Stato lo riconobbe come interlocutore. Ottenne la promessa di poter partecipare con imprese di fiducia alla ricostruzione. Oltre all’impegno delle Br di togliere di mezzo qualche poliziotto che gli dava fastidio, come accadde con il vicequestore Antonio Ammaturo”.
Il giudice riflette anche su cosa sarebbe accaduto se Cutolo avesse collaborato: ”Lo ha detto lui stesso, sarebbe – afferma – saltata l’Italia. Ma è rimasto sempre l’uomo delle mezze verità, mandava messaggi, diceva di essersi sacrificato per liberare Cirillo. Ma quando il Capo dello Stato, Sandro Pertini, impose personalmente il suo trasferimento nel supercarcere dell’Asinara, per Cutolo non ci fu più niente da fare”.
Articolo pubblicato il giorno 18 Febbraio 2021 - 09:21