Fra shoegaze e psichedelia, fra post-rock e dream pop “The Calling” è il nuovo album strumentale per sola chitarra, minimalista e sperimentale, di Adriano Lanzi ispirato da artisti quali Robert Fripp, Bill Frisell, Tortoise e Steve Reich
La chitarra come strumento per creare i più disparati suoni, grazie all’ausilio di effetti, accessori e tecniche differenti, sperimentando: è questa la base su cui si erge “The Calling”, il nuovo album del musicista e compositore Adriano Lanzi.
«In perfetta solitudine, ho raccolto materiali per chitarra elettrica di matrice minimalista e dal tratto generalmente meditativo, con influenze psichedeliche e a tratti vicine al post-rock. Per quasi tutti i brani sono partito da arpeggi, a volte con accordature alternative, e ho proceduto poi a sovraincidere piccole pennellate melodiche, con il bottleneck, l’EBow e altri piccoli artifici. In alcuni casi la chitarra elettrica è pesantemente trattata da effetti (a pedale o aggiunti in post-produzione) che la trasfigurano, ma quasi sempre l’effettistica è minima: un po’ di tremolo, una punta di fuzz, delay che esaltano i battimenti e gli incastri ritmici meno ovvii, e piccole riverberazioni accorte che lasciano respirare le note e acuiscono il senso di “spazio”».
Forte della lezione di artisti quali Robert Fripp, Bill Frisell, Tortoise e Steve Reich, Adriano Lanzi ci trasporta in un mondo fatto di paesaggi sonori sognanti, a tratti malinconici, dilatati, fra shoegaze e psichedelia, post-rock e dream pop.
«Le influenze più presenti non sono solo chitarristiche (da Robert Fripp al Bill Frisell meno jazzistico e più bucolico, dal Sonny Sharrock più melodico fino a Fred Frith), ma attingono al mondo minimalista-contemporaneo, con un occhio soprattutto a Terry Riley. Ho preso qualcosa dall’approccio “modulare” di Riley, l’ho rallentato e l’ho “spostato” dagli strumenti a tastiera alla sei corde».
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In uscita per Aventino Music, “The Calling” è stato interamente scritto e registrato dallo stesso Adriano Lanzi presso il suo home studio e mixato e masterizzato da Claudio Scozzafava.
“THE CALLING” raccontato da ADRIANO LANZI
TRACK-BY-TRACK
“Slow Dance”, la traccia di apertura, è un valzer lentissimo che si sposta da una parte melodica nel registro medio a una cascata di note psichedelica e reiterata sulle corde alte.
“Gea” è un gesto d’affetto, una dedica a una cara amica che stava attraversando un momento di difficoltà.
“Northbound” ha questa atmosfera quieta, nordica, di viaggio a piedi in un paesaggio gelato, coperto di brina, con un cielo sgombro di nubi.
In “Twilight” ho usato due sequenze di note minimaliste sempre di matrice Terry Riley/Steve Reich e ci ho sovrapposto qualche pennellata con lo slide e con il wah-wah, tenendo conto di un’altra influenza su di me molto forte che sono stati gli American Music Club, progetto di rock “atmosferico” di Mark Eitzel che, canzoni a parte, per quanto riguarda l’uso degli strumenti costruisce spesso queste atmosfere molto “nude”, un po’ desertiche eppure ricche di suggestioni.
Su “Globe” ho cercato di produrre il tocco più cristallino di cui fossi capace: il pezzo viene dritto da un’esperienza di meditazione che ho avuto, in cui mi è capitato di visualizzare un globo luminoso e pulsante che si faceva sempre più grande, che a un certo punto ha finito per ingoiare me e molta parte dello spazio che mi circondava. Niente di inquietante, ma ad ogni modo molto forte.
“Thawing of the river” è strutturalmente diviso in due parti, una prima esposizione melodica e una seconda fatta di crescendo molto graduali di grappoli di note reiterati e ossessivi, in cui ho cercato di far tesoro, come solista, della lezione dei Tortoise, gruppo post-rock che negli anni ‘90 ho adorato almeno fino al loro terzo album.
“The perfume that is left” è un pezzo ancora più nudo, fatto di piccoli rintocchi, con un inciso centrale di sapore lievemente esotico-orientale.
In “Presence”, sovrappongo note di fuzz box che increspano un tappeto altrimenti pulito e del tutto consonante: volevo alludere a qualcosa che è, appunto, “presente”, e quasi minaccioso, per quanto si possa fingere di ignorarlo.
“Spiral of stone” è la mia “giga”, la mia versione di una danza antica, poggia su una scala di sapore un po’ celtico-galiziano.
Su “The Calling” mi sono sbizzarrito con un’accordatura alternativa – che oggi non saprei più nemmeno ritrovare con esattezza! – ed è una cascata di armonici messi in loop su cui faccio cantare una chitarra appena appena distorta.
“Blossom” fa un po’ eccezione rispetto al resto dei brani, perché per una volta, anziché su arpeggi o note singole, è basato su accordi sostenuti e lasciati risuonare a oltranza. Una chitarra che ricrea l’effetto dei pad tastieristici, insomma. Con i delay ho cercato di far collidere e slittare gli accordi in modi imprevedibili, non del tutto consueti.
“Dream Sequence” è ancora una volta una chitarra accordata in modo non standard. Ho sovrapposto un arpeggio, rallentato in modo esasperante, a piccoli ricami sui cantini. È un movimento sognante e liquido, la colonna sonora di un mio vecchio sogno in cui camminavo sott’acqua, sul fondo del mare, senza bisogno di respirare.
Per “Refractions” vale lo stesso discorso di “Blossom”: chitarra via via trasfigurata con echi al contrario e riverberi, volevo arrivare a qualcosa di “sintetico” senza arrendermi all’uso del guitar synth ma spingendo all’estremo l’effettistica tradizionale dello strumento.
Articolo pubblicato il giorno 18 Gennaio 2021 - 18:14