«L’esito della riunione è stato molto positivo – commenta D’Andrea – lo staff del ministero si è preso del tempo per approfondire l’argomento e trovare soluzioni percorribili per colmare una carenza di regole nella libera professione che riguarda tutte le specialità compresa la nostra e ha fissato un prossimo incontro a gennaio. Sono certo così troveremo una soluzione al problema».
LA RICHIESTA
«Il primo risultato l’ho ottenuto, un confronto cioè con il ministero della Salute guidato da Roberto Speranza. Sono in attesa ora della risposta del ministro dell’Università Gaetano Manfredi, perché sono i due rappresentanti del Governo che di concerto possono trovare una soluzione a questa problematica», rimarca D’Andrea, che aveva scritto pochi giorni fa una lettera indirizzata ad entrambi i ministri con una richiesta specifica: l’introduzione di regole che prevedano l’obbligo del titolo di specialista per lo svolgimento dell’attività medica e chirurgica in ambito di libera professione.
LA NORMATIVA
Lo svolgimento dell’attività medica specialistica in Italia è regolata in maniera diversa nell’ambito della sanità privata e pubblica. Nell’attività privata il riferimento è la legge 221 del 5 aprile 1950, che dispone che l’iscrizione all’albo dei medici dia diritto al libero esercizio della professione senza alcuna limitazione in merito all’attività specialistica, salvo per la radiodiagnostica e per l’anestesiologia, per l’esercizio delle quali è necessario il titolo di specialista. «Dunque il medico chirurgo regolarmente iscritto all’albo può operare tutti i trattamenti, sia medici che chirurgici, in ogni branca specialistica della medicina, pur senza aver conseguito alcun titolo di specialista. Nel sistema sanitario pubblico di contro esistono decreti e leggi che regolano l’accesso alla dirigenza medica di primo e secondo livello, che di fatto sanciscono che per svolgere attività specialistica occorre avere come requisito irrinunciabile il titolo di specialista.
L’APPELLO
Da qui l’appello di D’Andrea alle istituzioni: «Questa situazione configura una disomogeneità tra sanità privata e pubblica a scapito della salute del cittadino. Sarebbe perciò opportuno recepire i regolamenti vigenti per lo svolgimento dell’attività pubblica nell’ambito privato dando il giusto valore allo strumento delle scuole di specializzazione, che formano specialisti nei vari settori della medicina, onde evitare improvvisazione e conseguenti danni ai cittadini». Improvvisazione che si verifica con altissima frequenza nel settore della chirurgia plastica, «dove per puri fini di lucro medici non specialisti o di altre branche si improvvisano chirurghi plastici, a danno della categoria e del cittadino con gravi conseguenze per la salute». «Sarebbe auspicabile che i ministeri dell’Università e della Salute rendessero dunque obbligatorio il titolo di specialista nel settore o settore affine o equipollente anche nello svolgimento della professione privata, semplicemente applicando le regole che già esistono nel servizio pubblico», conclude D’Andrea.
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