“Il cosiddetto “tampone” consente di rilevare l’infezione da SARS-CoV-2 compresa quella causata dalla variante inglese, ma per distinguere i vari ceppi varianti attualmente in circolazione è necessario procedere con il sequenziamento”.
Lo spiega all’AGI Antonio Mastino, microbiologo associato all’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ift) e già docente di Microbiologia presso l’Università di Messina, sottolineando che le attuali nozioni relative alla variante inglese del coronavirus non sono ancora state pubblicate su riviste scientifiche, per cui sarà necessario approfondire le ricerche e verificare i risultati, ma, stando ai dati disponibili, le mutazioni presenti nella variante non dovrebbe inficiare le capacità di rilevazione dell’infezione. “Il ‘tampone’, ed in particolare il saggio molecolare di laboratorio che segue al prelievo, mette in evidenza l’RNA virale – afferma l’esperto – il test si basa infatti sull’amplificazione di determinate sequenze tramite la Polymerase Chain Reaction (PCR), che viene attivata da un innesco che riconosce una porzione dell’RNA genomico.
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L’innesco deve essere complementare ad alcune basi dell’RNA per poter dare avvio alla reazione, ed i saggi ad oggi mesi a punto ed utilizzati non sembrano essere inficiati dalle mutazioni specifiche della variante inglese, per cui i test individuano l’infezione da SARS-CoV-2 indipendentemente dai ceppi varianti”. Il ricercatore aggiunge che le amplificazioni delle sequenze non coprono l’intero genoma dell’RNA, né le intere sequenze delle regioni che codificano per la proteina spike, per questo attualmente i tamponi sono in grado di rilevare la presenza del nuovo coronavirus. “Per distinguere le varie mutazioni, tuttavia – sottolinea il docente – è necessario procedere con esami più approfonditi, come il sequenziamento, che consente di individuare in tempi relativamente brevi le circa 20 mila basi del genoma.
Questa tecnica è comunque piuttosto complessa e non può essere eseguita come saggio di routine”. Lo scienziato precisa poi che, se la variante inglese dovesse diventare la più diffusa a livello mondiale e la si volesse identificare velocemente distinguendola dalle altre varianti, sarebbe possibile sviluppare test molecolari specifici per individuare le sue mutazioni. “Potremmo realizzare reazioni di PCR in cui l’innesco cade proprio sul punto dell’RNA alterato dal ceppo inglese – sostiene – sarebbe tecnicamente piuttosto semplice, anche se le difficoltà riguarderebbero i costi di produzione e distribuzione, ma ad oggi non abbiamo motivo di credere che sarà necessario”.
“Al momento – conclude Mastino – non vi sono elementi per aumentare il livello di preoccupazione. La variante inglese sembra essere più contagiosa, ma non ci sono dati che suggeriscano una più elevata azione patogena o un rischio maggiore per chi la contrae”.
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