In una lettera gli 11 firmatari della mozione di sfiducia chiedono “Il Rispetto delle Regole” in risposta all’appello “all’unità” che la stessa Luguoro aveva rivolto loro nei giorni scorsi.
“II Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, per Legge, ha la funzione di valorizzare la rilevanza giuridica e sociale della professione forense e di garantire l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati.
E’ inoltre, il custode delle norme etiche e deontologiche che disciplinano la vita dell’Avvocatura.
Da alcuni mesi l’Ufficio di Presidenza del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torre Annunziata sembra aver dimenticato questo ruolo.In occasione delle elezioni celebratesi nel luglio 2019 il Tribunale Oplontino ha assistito ad una manifestazione di partecipazione democratica senza precedenti: migliaia di Avvocati hanno atteso per ore sotto il sole cocente per esprimere la loro preferenza”, scrivono gli 11 dissidenti.
E quindi aggiungono: “Le scelte dell’elettorato sono state completamente ininfluenti e, come è giusto che sia e come il sistema prevede, le nomine del Presidente, del Vicepresidente, del Segretario e del Tesoriere dell’Ordine sono state il frutto di una scelta assunta a maggioranza all’interno del Consiglio. La maggioranza Consiliare democraticamente elegge il suo Ufficio di Presidenza. I comportamenti autoreferenziali tenuti dalle cariche apicali e la totale indifferenza alle richieste dei Consiglieri hanno portato ben presto, tuttavia, ad un totale isolamento dell’Ufficio di Presidenza, tale da condurlo in minoranza. La maggioranza che aveva conferito fiducia all’Ufficio di Presidenza non è più.
Mentre tuttavia l’Ufficio di Presidenza ha accettato che il criterio della rappresentanza democratica assegnasse le cariche apicali, oggi che la maggioranza non esiste più esso rifiuta di riconoscerne la validità”.
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E per questo motivo che viene rinnovata la richiesta di dimmissioni alla Liguoro: “Ogni principio giuridico, etico e deontologico – del quale i vertici del Consiglio dovrebbero essere attenti custodi, al fine di poterne poi chiedere il rispetto alla Classe – dovrebbe portare alle inevitabili dimissioni di chi, investito di un munus publicum, perde la fiducia del corpo che lo ha eletto. Da mesi, invece, come accade in ogni regime autoritario, i principi vengono sviliti e calpestati e si cerca di utilizzare la Fondazione Forense Enrico De Nicola come paravento e causa di ogni travisamento della democrazia. Occorre a questo punto ricordare a noi stessi che l’attuale Consiglio dell’Ordine, all’unanimità, con delibera del 28/07/2020, ha azzerato la Fondazione Forense. Da mesi, inoltre, i sottoscritti Consiglieri stanno chiedendo con insistenza che questa Istituzione, nata nel lontano 2011, sia finalmente ricondotta all’originaria funzione di Alta Formazione, sanando le eventuali irregolarità esistenti e riportandola alla composizione originaria prevista dall’Unico Statuto Vigente, come riconosciuto dalla Regione Campania. Nonostante tali richieste e tale manifesta volontà, l’ultima convocazione del Consiglio dell’Ordine formalizzata dal Presidente non recava all’Ordine del Giorno l’analisi della questione Fondazione Forense, a riprova che tale argomento è diventato oramai il fragile paravento dietro il quale si nasconde unicamente il desiderio di conservare le proprie rendite di posizione.
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L’indagine sulle motivazioni riveste tuttavia ben poco interesse per la Classe Forense di cui l’Ordine deve difendere la libertà e la dignità, anche economica.
Ciò che importa alla classe è la garanzia di un efficiente e bene andante Consiglio che non abdichi sine die alla pluralità dei compiti ad esso attribuiti. Invece siamo costretti a registrare un Presidente che, autoritativamente e senza motivazione alcuna, decide quali compiti istituzionali meritino attenzione e quali no, che fa della propria inerzia la risposta costante e reiterata alle richieste avanzate dall’attuale maggioranza di inserire punti essenziali all’ordine del giorno nell’interesse dell’Avvocatura e che, in dispregio del principio della programmazione che dovrebbe costituire il leit motiv di qualsivoglia consesso associativo, illegittimamente esclude argomenti ritenuti scomodi.
Non è garanzia di efficienza un Presidente che nell’ultima riunione, a fronte di una mozione presentata dall’attuale maggioranza di inversione dell’ODG, rifiuti di porre ai voti tale istanza e decida di interrompere la trattazione – da essa Presidente iniziata – delle pratiche istituzionali, celandosi dietro una mera riserva.E ciò, al solo scopo di proseguire in una gestione dispotica e sprezzante dei valori democratici che invece imporrebbero, nell’accettazione del principio di alternanza, di lasciare il passo.
E’ senso di responsabilità”.
Si spiega così secondo gli 11 il ricorso al Tar: “Per tale motivo, per porre un freno a tale deriva autoritaria ed a questa vera e propria dittatura della minoranza, undici Consiglieri hanno deciso di presentare ricorso al Tribunale Amministrativo Competente. Siamo Avvocati e, purtroppo ben consci dei tempi della Giustizia. Probabilmente non saremo più in carica quando questo procedimento giungerà alla fine ma ciò che ci preme non è affatto la sostituzione dei vertici del Consiglio ma la difesa dei principi di libertà, democrazia e dignità che dovrebbero trovare nell’Ufficio di Presidenza del Consiglio di un Ordine degli Avvocati la loro casa naturale.Abbiamo chiesto finanche che la questione sia portata dinnanzi alla Corte Costituzionale, convinti come siamo che la difesa dei Diritti sia un nostro dovere anche e soprattutto nei confronti delle nuove generazioni”.
Ed arriva la richiesta finale: “Abbiamo però chiarito un aspetto fondamentale: non cesseremo un attimo di lavorare, anche insieme alla attuale minoranza, nell’interesse della Classe, le cui necessità, soprattutto nel momento drammatico che stiamo vivendo, non possono soggiacere ad alcuna battaglia di principi, per quanto importante essa sia. Il Consiglio deve continuare ad operare e nessuno di noi farà mai mancare il proprio apporto alla risoluzione dei problemi dell’avvocatura. Ciò che immaginiamo e ciò per cui intendiamo lottare è un Consiglio dell’Ordine finalmente libero da influenze esterne, composto meritocraticamente dal suffragio degli elettori e che non sia il frutto di alchimie di bottega, mutevoli a seconda delle contingenti esigenze. La mozione di sfiducia è un atto di responsabilità che va nel solo senso del corretto funzionamento del Consiglio e nel ritrovamento delle sue prerogative. Poco importa che sia stato necessario ricorrere alla disputa giudiziaria, di cui probabilmente noi consiglieri firmatari conosceremo l’esito solo a carica spirata. L’arma migliore per la difesa dei principi democratici – quando questi siano vilipesi dalla arroganza di una dittatura – resta la battaglia fatta con chiarezza e trasparenza”.
La lettera è firmata da Fausta Antonella Cirillo, Giusy di Nola, Francesco Maddaloni, Rachele Palomba, Francesco Pane, Vincenzo Polese, Antonino Raffone, Mario Sabbia, Francesco Savastano, Antonio Suarato, Giovanni Visco.
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