A Pompei sono riemersi i corpi di due antichi pompeiani grazie alla tecnica dei calchi.
Ancora una volta prende forma dagli scavi condotti a Pompei, quella che lo scrittore Luigi Settembrini definì “il dolore della morte che riacquista corpo e figura.” Uomini che persero la vita nel corso dell’eruzione e la cui impronta dello spasimo è rimasta impressa per duemila anni nella cenere.
Durante le attività di scavo in corso in località Civita Giuliana, a circa 700 m a nord-ovest di Pompei, nell’area della grande villa suburbana dove già nel 2017 – grazie all’operazione congiunta con i carabinieri e la Procura di Torre Annunziata finalizzata ad arrestare il traffico illecito dei tombaroli – era stata portata in luce la parte servile della villa, la stalla con i resti di tre cavalli bardati, sono stati rinvenuti due scheletri di individui colti dalla furia dell’eruzione.
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Così come nella prima campagna di scavo fu possibile realizzare i calchi dei cavalli, oggi è stato possibile realizzare quelli delle due vittime rinvenute nei pressi del criptoportico, nella parte nobile della villa oggetto delle nuove indagini.
I corpi sono stati individuati in un vano laterale del criptopotico, corridoio di passaggio sottostante della villa, che consentiva l’ accesso al piano superiore.
Nonostante la chiusura del Parco, le indagini di scavo sono proseguite portando alla luce i resti di due uomini: probabilmente un ricco pompeiano e il suo schiavo, morti nel 79 d.C. durante la grande eruzione del Vesuvio. Grazie all’affinamento della tecnica calcografica avvenuta nel corso dei decenni, oggi ci viene restituita l’immagine di due fuggiaschi con dettagli sorprendenti, dai panneggi degli antichi abiti romani alle vene delle mani. Durante la prima fase eruttiva, quando l’antica città romana venne ricoperta dai lapilli, le prime vittime furono quelle intrappolate negli ambienti, investite dai crolli provocati dal materiale vulcanico depositatosi fino a un’altezza di tre metri. Di queste persone sono rimasti soltanto gli scheletri. Poco dopo, quando la città venne colpita dal flusso piroclastico che riempì gli spazi non ancora invasi dai materiali vulcanici, le persone morirono all’istante per shock termico. I corpi rimasero nella posizione in cui erano stati investiti dal flusso, e il materiale cineritico solidificatosi ne ha conservato l’impronta dopo la decomposizione. Proprio questo è successo ai due pompeiani da poco rivenuti nella villa suburbana del Sauro Bardato a Civita Giuliana, dove uno scavo in corso dal 2017 ha riportato alla luce i resti di una lussuosa abitazione che, con una grande terrazza panoramica, dominava il Golfo di Napoli e di Capri.
I dettagli restituiti dai calchi sono impressionanti. La prima vittima è quasi certamente un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1,56 metri. Ha il capo reclinato, con i denti e le ossa del cranio ancora parzialmente visibili. Indossa una tunica corta, di lunghezza non superiore al ginocchio, di cui è ben visibile l’impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe. Le tracce di tessuto suggeriscono che si tratti di una stoffa pesante, probabilmente fibre di lana. Il braccio sinistro è leggermente piegato con la mano appoggiata sull’addome, mentre il destro poggia sul petto. Le gambe sono nude e vicino al volto vi sono frammenti di intonaco bianco. La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali, inusuali per la giovane età del ragazzo, fa pensare che potesse svolgere lavori pesanti: ecco perché si pensa che fosse uno schiavo.
La seconda vittima invece è in una posizione completamente diversa rispetto alla prima: il volto è riverso a terra, a un livello più basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano parzialmente a vista le ossa del cranio. Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate. L’abbigliamento è più articolato.
Si conservano infatti impronte di tessuto ben visibili riconducibili a un mantello in lana che era fermato sulla spalla sinistra. In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro vi è anche l’impronta di un tessuto diverso, quello di una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica. Anche vicino al volto di questa vittima vi sono frammenti di intonaco bianco, in questo caso probabilmente crollati dal piano superiore. La robustezza del corpo, soprattutto a livello del torace, suggerisce che anche in questo caso sia tra i 30 e i 40 anni e alto circa 1,62 metri.
“Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei è importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti- dichiara il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini- ma perché è un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora più di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologici di oggi e del futuro”.
“Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana- dichiara il direttore del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna – perché condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi oggi è una fonte di conoscenza incredibile”.
Articolo pubblicato il giorno 21 Novembre 2020 - 15:53