Nel centenario della nascita di Michele Prisco, lo scrittore dell’eleganza raffinata
di Pierfranco Bruni
Provincia addormentata o sognante. Specchio invisibile o volti vissuti oltre l’oblio. Michele Prisco resta uno scrittore riferimento. A cento anni dalla nascita. Anzi, un vero scrittore che ha sempre legato il travolgere, o l’avvolgere, dei personaggi non alle forme, o agli ambienti, bensรฌ ai destini.
In un sommerso orizzonte, in cui la lingua ha la sua importanza in una eleganza fuori gli stereotipi, il raccontare รจ da leggersi come un narrare dove la letteratura รจ la vita stessa.
Aveva perfettamente ragione Carlo Bo. In Prisco il dettaglio ha la sua percezione e quindi la sua perfezione. Sia nel romanzo che in quel suo fare giornalismo, dettato da un appiglio di cronaca ma definito in un preciso affresco di vita, appunto, e di letteratura, il raccontare era tutto.
I suoi romanzi, a volte in una elegante solitudine, non sono la descrizione, o una descrizione, ma una impeccabile metafora, dove il reale si trasforma in un invisibile sguardo nel tempo che sa di nascere dalla memoria e dal ricordo. Il reale non cerca il vero. Perchรฉ la letteratura non รจ reale e tanto meno vero. Mistero certamente sรฌ. Il mistero ha sempre di fronte l’altro aspetto del destino. Ovvero l’invisibile, che, perรฒ, attraversa gli occhi che non restano addormentati ma sognanti.
Prisco non ha maestri considerati tali se non la tradizione di un intreccio che ha sede nel narrare l’ereditร della conoscenza del sentire lo sguardo come visione, a volte, ontologica a volte allegorica, in una pacata religiositร della parola, che diventa immagine. Un immaginario che non รจ “collettivo”, perchรฉ non esiste e perchรฉ รจ una frase abusata ideologicamente, ma individuale personale umano.
Giร , perchรฉ Prisco pone al centro non le cose, o meglio mai le cose bensรฌ la persona. I suoi romanzi, ma anche i suoi ritratti, sono la dimensione dell’umano. L’uomo come linguaggio dell’essere e mai delle circostanze o del relativo. Il relativo non esiste se esiste l’uomo con la sua identitร . ร questo che lo caratterizza e lo rende maestro e unico. ร questo che lo distingue da Calvino, da Moravia e da Pasolini. Prisco รจ il vero scrittore che nasce proprio dal legame parola vita e non da strutture culturali o sovrastruttura. ร lo scrittore che nasce e vive abitando la sua anima e i suoi sensi sia nella lingua sia nella costruzione invenzione del suo immaginario di tempo.
Infatti dirร : “…il ruolo dello scrittore non รจ quello di suggerire delle soluzioni perchรฉ la sua missione รจ ad un tempo piรน modesta e piรน alta: il romanziere deve forzare il lettore ad interrogare su se stesso e sul senso del suo destino”. Il senso del destino che ristabilisce le stanze delle vite all’interno di un tempo che non รจ mai cronaca. Il senso della letteratura nel destino dell’uomo che si fa personaggio e persona. Cosรฌ da “La provincia addormentata” a “Una spirale di nebbia”, da “Le parole del silenzio” a “I cieli della sera”.
Proprio in “Una spirale di nebbia” scriverร questa sublime visione: “E cosรฌ continuava a fissare assorta la fotografia di sua madre e a rincorrere l’immagine di Valeria, ormai persa abbandonata dietro questo giuoco di sovrimpressioni: e forse perchรฉ adesso doveva pensarla morta, eliminata per sempre, avvertiva a un tratto un vago turbamento, un rimorso, no, non proprio un rimorso, semmai un’insofferenza confusa e delusa, una specie di, come poteva definirla, di necessitร di riparazione, ma neppure รจ l’espressione giusta, di maggiore tolleranza e umanitร , di ordine, ecco, di pulizia. Per quel bisogno che abbiamo, di fronte alla morte, di sistemare per bene i nostri rapporti con coloro che ci hanno preceduti evitando di lasciare zone d’ombra, sentimenti di cruccio o d’acredine, quasi per sentirsi in pace con noi stessi piรน che per non sentirsi in debito con loro. Quasi per farci perdonare d’essere ancora viviโฆ”. Un segno metaforicamente pirandelliano che ci regala il dialogo di Luigi con la madre. Lo scrittore forza si riconosce subito. Prisco.
E ancora da “I giorni della conchiglia” a “Il cuore della vita”, da “Il pellicano di pietra” a “La pietra bianca. Quattro racconti inediti”. Poi i suoi incontri con Manzoni, con Cechov, con Matilde Serao, con Gianbattista Basile, con il cinema. I suoi legami con Mario Pomilio, Francesco Grisi, Diego Fabbri. Quella provincia addormentata รจ un Mediterraneo diffuso tra luoghi e uomini, tra personaggi e specchi, tra la trasparenza delle maschere e il ricordare nella immensa memoria che va oltre Napoli e la Campania.
Lo scrittore di un vissuto. Era nato a Torre Annunziata il 4 gennaio del 1920. Morto a Napoli il 19 novembre del 2003. Aveva l’etร di mio padre, 1920, ed รจ stato dichiarato all’ufficio anagrafe il 18 gennaio. Il giorno della mia nascita. Ebbi modo a metร degli anni โ90 (1995 – 2000) di avere rapporti con Michele, di frequentarlo spesso, di ascoltarlo con frequenza. Lo chiamai per il Premio Ori di Taranto e il Premio Bari Mediterraneo a far parte della commissione. Allora ero vice presidente e assessore alla cultura alla Provincia di Taranto.
Il tempo รจ passato. Ma il passato resta. Lo scrittore di una ricchezza raffinata, di una eleganza superiore, di una profonditร archetipica. Gli archetipi che diventano poesia, cosรฌ: “…ogni parola ha sempre le sue origini nella sostanza umana e il canto si realizza come passione, sofferenza, denuncia, realtร interiore e anelito di liberazione, recupero di smarriti modi di vitaโฆ โCaro, dolce poetaโ รจ un messaggio destinato a ciascuno di noi, una voce che ciascuno di noi puรฒ sentire echeggiare dentro di sรฉ. Obbedirle, o solamente accoglierla, รจ giร altro discorso: al poeta basta farla vibrare”.
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Articolo pubblicato il giorno 30 Novembre 2020 - 09:02