Geni assoluti, rimasti immortali per le loro opere, che continuano ad essere attualissime. Perché sono capaci di parlare a tutti. Era puro istinto”. Massimo Mauro, compagno di squadra di MARADONA nel Napoli, descrive il campione argentino morto ieri, in un’intervista al Corriere della Sera: ”È l’unica persona che non è nata lì eppure si può dire figlio di Napoli per tutto quello che ha vissuto. Infatti i napoletani lo piangono come San Gennaro. Era un uomo talmente generoso e disponibile, nel bene e nel male. Questo lo ha messo di fronte a tante situazioni difficili, ma è stata la sua vita e voglio ricordarlo solo per le cose belle”. ”Diego aveva la semplicità dei grandissimi e se eri in difficoltà ti aiutava sempre – ricorda Mauro -. Se pensi a un suo gol, pensi a quello mitico contro gli inglesi al Mondiale messicano. Ma lui era concreto anche in tutte le altre cose che servivano alla squadra per vincere le partite: non solo i gol, quindi, ma la personalità, la capacità di starti vicino nei momenti più difficili. E soprattutto di essere decisivo nelle partite più importanti, che poi è la caratteristica dei fuoriclasse”.”Quando uno muore – prosegue l’ex calciatore – arriva sempre il tributo da parte di tutti e il riconoscimento della sua grandezza. Ma in alcuni momenti Diego andava ascoltato molto di più, penso ad esempio quando si scagliava contro la Fifa, i suoi interessi economici, i suoi Mondiali giocati in posti e in orari assurdi. Quel lato di MARADONA meritava sicuramente più attenzione e più rispetto. Ma anche questo fa parte del suo modo di essere. Il bello di Diego è che lui era tutto istinto. Era una persona che pensava di poter fare tutto, ma mai arrecando danno agli altri. Si è autodistrutto, non è riuscito a gestire le sue situazioni personali”. ”Anche dire, ‘pensa cosa sarei stato senza la cocaina’ fa parte di Diego e del suo essere puro istinto – rimarca Mauro riferendosi al rimpianto che il campione spesso ripeteva -. Lui era bellissimo proprio per questo motivo. Poteva trovarsi di fronte a un intellettuale o a un operaio, ma Diego si metteva sempre al livello degli altri, per potere stare assieme a loro. E poi era impressionante sul campo. Aveva doti atletiche incredibili. Non lo buttavi giù in nessun modo. Nel calcio di oggi farebbe espellere tre difensori a partita. Anche allora lo menavano di brutto, ma lui non cadeva mai, con quel baricentro basso e quelle gambe. Sarebbe stato il numero uno nell’era di Pelé, ma anche oggi. Perché non è vero che nella nostra epoca si giocava piano. E comunque Diego sarebbe Diego, anche oggi. Perché uno come lui è per sempre”.
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