“SNÒDO è stato concepito alle porte di Saviano, nella biforcazione stradale che ospita il mercato comunale settimanale, accerchiato da quattordici cartelloni pubblicitari solitamente in affitto, come usuale, alle firme dei marchi commerciali o dei candidati politici durante le campagne elettorali…”
La Sabato Angiero Arte è lieta di presentare la prima edizione di una mostra in un luogo pubblico, progettata all’esterno degli spazi della galleria ed inserita all’interno della struttura vivente di un contesto locale e del suo paesaggio. Snòdo è stato concepito nello svincolo stradale all’ingresso della cittadina di Saviano, nel luogo che ospita il mercato comunale settimanale circondato da quattordici cartelloni pubblicitari, solitamente in affitto ai marchi commerciali o destinati alle affissioni di propaganda durante le campagne elettorali. Con Snòdo, questi cartelloni pubblicitari ospiteranno i contributi di quattordici artisti internazionali che sono stati invitati a relazionarsi con un tessuto urbano — sempre unico ma simile a tutte le periferie — e un panorama zero — sempre anonimo ma attraversato da identità come tutti i luoghi di transizione e di confine.
La mostra, a cura di Valentina Apicerni, presenta i lavori degli artisti: Cesare Accetta, Aniello Barone, Giuseppe Caccavale, Timothée Chalazonotis, Flaviana Frascogna, Salvatore Manzi, Olivier Menanteau, Pino Musi, Coutarel Odilon, Pier Paolo Patti, Felix Policastro, Antonello Scotti, Ciro Vitale e Nicola Zucaro.
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“Quando il riversarsi delle pratiche artistiche nei luoghi non deputati alle mostre — in maniera ufficiale o non autorizzata — e la loro ibridazione o contestazione delle strategie di marketing, sono operazioni già consolidate nella storia, fare un intervento d’arte in un contesto urbano utilizzando strutture pubblicitarie, non è un atto provocatorio ma il proseguire una necessità: “basta vincoli di sistema”. Se poi tali operazioni hanno trovato nel tempo maggior responsabilità d’essere nelle zone periferiche e nelle province, fuori dal traffico visivo delle città, è perché è lì che molte volte essi acquisiscono la nomea quanto la legittimità dei gesti di opposizione. Snòdo è stato concepito alle porte di Saviano, nella biforcazione stradale che ospita il mercato comunale settimanale, accerchiato da quattordici cartelloni pubblicitari solitamente in affitto, come usuale, alle firme dei marchi commerciali o dei candidati politici durante le campagne elettorali. Snòdo è il tentativo di rendere più elastici, snodare i margini degli schemi abituali attraverso il contributo di quattordici artisti chiamati ad inserirsi nella struttura vivente di un contesto locale e del suo paesaggio. Una par condicio che non interessi esclusivamente la visibilità politico-commerciale ma il diritto ad una parità di accesso alla comunicazione, soprattutto per una cultura non propagandistica. Infatti, essendo lo spazio urbano entropico ed effimero per sua stessa natura, anche questi gesti partecipano a tracciarne possibili mutazioni, se è vero che “l’artista è sempre impegnato a scrivere una minuziosa storia del futuro”. Quando c’è una storia, c’è sempre un prima e un dopo. Prima che i manifesti pubblicitari divenissero arte di propaganda politica ed arma di potere dei partiti, tra i loro valori ed ideologie, erano opera di officine grafiche e di artisti alla Toulouse-Lautrec. Dalle strade di Parigi le nascenti metropoli illustravano sé stesse con réclame cinematografici, immagini di cabaret notturni e di prodotti da Bon Marché, da Grandi Magazzini. Dopo che lo spot sulle reti televisive mise in ombra il sistema creativo delle affissioni, i cartelloni pubblici già popolavano i bordi delle corsie per accompagnare con slogan da consumo il viaggio in Ford di chi transitava dai territori rurali alle città. Totem stradali innalzati a simulacri dei desideri e ormai assorbiti nel nostro immaginario: il paesaggio invisibile e senza identità degli incroci, delle strade urbane e delle periferie. Questi totem, reperti di un’archeologia postindustriale, come i “Monumenti di Paissac” disegnano un panorama zero in cui le opere tendono alla rovina ancora prima di essere costruite ed “invece di provocare in noi il ricordo del passato, sembrano volerci far dimenticare il futuro”. Ma è nel rimosso delle città, nel negativo fotografico della musealizzazione della cultura che riesce a sopravvivere la biodiversità e il rifiuto è un altrove ancora possibile. Derive entropiche per eccellenza sono i nonluoghi, dai campi profughi ai passaggi necessari al movimento, come le stazioni, le reti stradali e gli svincoli. Snòdo, termine di uso frequente, ma improprio, per svincolo, è un’operazione site-specific che all’arte pubblica ruba solo il pretesto per appropriarsi di uno spazio comune. Snodare come sciogliere, liberare dai nodi, è un invito a slegarci dalla trama delle narrazioni già conosciute, e dare presenza a zone di transizione. Questi luoghi, nella loro identità anarchica, hanno la prerogativa di essere astorici. E quando non c’è una storia, il prima e il dopo convergono nel sempre presente, l’oggi dei Passages in cui “uscire di casa come se si giungesse da un luogo lontano; scoprire il mondo in cui già si vive; cominciare la giornata come se si sbarcasse da una nave proveniente da Singapore” o imbarcarsi in una odissea suburbana.”
Valentina Apicerni
[Si ringraziano la CNC Tessuti di Gaetano Casillo, la Mulino Bencivenga di Lorenzo di Guglielmo e la REC Program di Dario di Guglielmo.]
Progettazione grafica di Coutarel Odilon, Parigi.
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