La Stampa italiana una decina di giorni or sono, quando l’attenzione dei lettori era risucchiata dalle vicende elettorali, ha salutato con soddisfazione la pubblicazione sul giornale Economist del Bando di Concorso per la selezione del nuovo Direttore del parco Archeologico di Pompei.
Ormai sono dimenticate le polemiche che accompagnarono nel 2015 il primo concorso internazionale che in particolare poi portò il tedesco Eike Schmidt agli Uffizi e il francese Sylvain Berlenger a Capodimonte, tra i malumori di molti e tra vibranti polemiche giornalistiche. Acqua passata.
Ovviamente, la notizia del coinvolgimento dell’autorevolissimo giornale inglese fa piacere a chiunque ami Pompei, sito archeologico a dimensione planetaria.
Dovremmo quindi oggi potere augurarci che il nuovo Direttore di Pompei sia all’altezza di…Pompei, nel senso che la possa pilotarla nel terzo millennio della sua vita senza essere da essa trainato verso la celebrità, come è accaduto finora. Intendiamo dire che – héreusement pour tous – è stata la dimensione planetaria del sito archeologico più famoso al mondo ad apportare al proprio condottiero di turno fama e riconoscimenti nazionali e internazionali.
A cominciare da quelli del mondo politico e istituzionale italiano, bisognoso di modelli positivi da esibire in Italia e all’Estero. Anche qui sta la ratio della proposizione del modello Pompei, in cui si sono compiaciuti a turno, ma spesso entrambi, sia Matteo Renzi che Dario Franceschini.
Il primo come ex Presidente del Consiglio che varò in nuce l’ipotesi del Grande Progetto Pompei e il secondo che poi se lo è caricato pienamente e ci ha messo la faccia fino in fondo. E anche i propri uomini, ovviamente. A cominciare da Massimo Osanna, portato in pochi anni ai massimi livelli nazionali, come artefice del “modello Pompei”. Uno slogan efficace senza dubbio che rimane però da verificare nei propri effettivi contenuti.
A Franceschini va riconosciuta una astuzia lungimirante arricchita con una strategia di lungo corso, tipicamente democristiana. Egli la ha attuata in prima istanza con provvedimenti autonomamente attivati e in seconda istanza con il ricorso alle procedure concorsuali un po’ contestate all’inizio, per la loro “originalità”, ma stavolta accettate di buon grado da tutti. E l’ottimo Dario, che i rumors romani indicano come possibile futuro inquilino del colle più alto di Roma, ha intanto occupato manu militari la scacchiera territoriale del MIBACT, totalmente riformato da lui stesso, dimostratosi impermeabile al dissenso di buona parte degli addetti ai lavori.
Lo stesso Franceschini ha annunciato un nuovo “grande Progetto” di messa in sicurezza per tutto il versante meridionale di Pompei antica, preannunciando anche ulteriori scavi e scoperte, forse in vista della realizzazione dell’Hub turistico e della sistemazione di Via Plinio, su evidente suggerimento di Osanna. Quest’ultimo ha infatti già riportato alla luce nella zona di Porta di Stabia vecchi scavi ottocenteschi obliterati e li ha completati illustrandone ampiamente le riscoperte.
E qui dobbiamo toglierci il cappello davanti alle qualità di comunicatore e annunciatore infaticabile di Massimo Osanna. Decisamente meno, in verità, il cappello ce lo togliamo davanti alla sua scarsa cura verso la accessibilità degli archivi, in buona parte inaccessibili da tempo per gli utenti. Lo stesso vale verso la efficienza e la produttività, certamente modeste, degli uffici cui egli aveva delegato il controllo del territorio pompeiano moderno del Parco Archeologico, che spesso non ha ricevuto tempestive risposte alle proprie istanze. In particolare, poi, Osanna ha toppato in due vicende che gridano vendetta. Due gravi vulnus inferti alla Pompei moderna.
Il primo vulnus è la Buffer Zone Unesco. Essa esclude grande parte del Territorio pompeiano moderno, arrestandosi a Via Plinio e riproponendo così i difetti dell’area del parco Archeologico di Pompei, così ristretta la Città di Pompei – estesa su appena poco più di Mille Ettari – è sottoposto a due Soprintendenze diverse.
Vedremo cosa succederà quando si avranno ritrovamenti archeologici estemporanei durante lavori di scavo del parcheggio interrato e dei sottovia del Progetto EAV per la sistemazione urbana di via Lepanto, che “appartiene” a un’altra Soprintendenza. E i ritrovamenti sono probabili.
Il secondo è più virulento vulnus è costituito dall’edificio per Uffici costruito scriteriatamente a Porta di Stabia. Su questo giornale l’abbiamo definito “archeomostro” da tempo. Ed esso recentemente, in un convegno di archeologia urbana, è stato al centro di polemiche giornalistiche in quanto un autorevole archeologo vesuviano, docente di Archeologia a Napoli, presso l’università Suor Orsola Benincasa lo ha criticato per la sua immagine da palazzina di Case popolari a un passo dalle mura antiche. Non ci prolunghiamo sull’argomento, soltanto perché girano notizie circa la permanente attenzione su alcune vicende degli Scavi pompeiani da parte della procura della Repubblica competente e su un relativo ponderoso fascicolo di migliaia di pagine.
Intanto, per mera cronaca, segnaliamo la nascita di un ulteriore, fortunatamente più modesto archeomostro in alluminio, lungo la recinzione di Via Villa dei Misteri. Un gran brutto vedere davvero per cittadini e turisti. Insomma, e’ vero che chi vivrà, vedrà. E’ anche vero però che chi vivrà, avrà diritto ad avere un Direttore del Parco Archeologico di Pompei più attento e aperto alle esigenze della collettività che vive nel territorio del parco o intorno ad esso. Non solo agli annunci mediatici.
Questo è almeno l’auspicio di questo giornale. Con buona pace del modello Pompei.
Federico L.I.Federico
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