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I giochi tradizionali della Campania, tra mito e storia

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Il gioco in Campania non fa parte solo della storia della regione ma è anche nello stesso DNA della gente che da secoli riserva grande importanza allo svago, un po’ per sfuggire dalla non sempre facile realtà quotidiana e un po’ anche per quella sana gioia di vivere che contagia tutta l’Italia e in particolare il Sud. A livello regionale sono tanti i passatempi tipici che hanno cresciuto generazioni vissute per lo più in strada, in mezzo alla gente in un’epoca in cui cellulari, console e personal computer dovevano ancora diventare d’uso comune di fatto modificando per sempre le abitudini dei più giovani…
Uno degli svaghi più popolari per la generazione degli “enta” era senz’altro la pallamaglio, un gioco quasi al limite tra polo e golf dove i giocatori dovevano far muovere, in un percorso prestabilito, una palla di legno colpita con delle mazze artigianali. Gli appassionati di skateboard dovrebbero invece guardare con estremo interesse al Carruocciolo, un passatempo diffuso in particolare nella Napoli degli anni ’50 quando i giovani modificavamo ad arte delle semplici assi di legno aggiungendo delle ruote per sfrecciare lungo le strade poco trafficate del capoluogo partenopeo, “surfando” l’asfalto dei quartieri Spagnoli, del Vomero e del Rione Sanità in qualche maniera quasi anticipando l’esplosione della moda delle tavole su ruote made in USA.
Meno rischioso del Carruocciolo era senz’altro lo strummolo, sostanzialmente un trottolone di legno che veniva fatto roteare tramite un pezzo di corda (‘a finicella) che serviva ad innescare le rotazioni del girello ligneo che volteggiava per la gioia dei più piccini che passavano ore a smuovere queste semplici trottole artigianali.

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In un’epoca in cui a farla da padrone sono i giochi di casinò online, ormai popolarissimi soprattutto tra i millenial e le nuove generazioni senz’altro più inclini ad interfacciarsi con smartphone, pc e tablet per divertirsi, è difficile immaginarsi dei gruppi di giovani seduti al tavolo ed intenti a giocare a carte. Eppure fino a qualche anno fa in qualunque città e piccolo borgo della Campania e anche in altre parti d’Italia questo poteva essere uno scenario abbastanza comune anche perché in assenza di internet e Social Media, per ammazzare il tempo, i giovani erano “costretti” a guardarsi negli occhi e giocare ad esempio con le carte napoletane, uno dei simboli del capoluogo regionale campano.

I mazzi napoletani ricordano lo stretto legame tra Napoli e la Spagna. Il capoluogo campano è imbevuto da sempre di cultura iberica avendo subito un dominio da parte dei regnanti spagnoli perdurato per oltre due secoli (dal 1500 al 1700). Furono proprio gli spagnoli ad introdurre le carte in Campania avendole “prese in prestito” dagli arabi con cui gli spagnoli intessero lunghi rapporti di scambi commerciali anche in virtù della forzata convivenza in Spagna fino alla definitiva cacciata degli ultimi sultanati moreschi in Andalusia.

Nel 1577 su ogni paio di carte da gioco il governo spagnolo impose una tassa di un carlino, un provvedimento che tradisce la sete di guadagno degli occupanti visto che si stima che all’epoca nel Regno di Napoli ogni anno si producessero più di 60.000 carte (42.000 soltanto nel Regno di Napoli). Alcuni artisti come Solimena e Luca Giordano si specializzarono nella produzione di carte legando il loro nome a questo particolare tipo di produzione. Dal momento che le carte venivano utilizzate anche per vaticinare il futuro come nell’arte dei tarocchi i disegnatori delle napoletane furono sempre particolarmente rispettati e il loro mestiere si trasmise di generazione in generazione trasformando questo lavoro in una sorta di casta che continuò a prosperare fino a quando la produzione di carte artigianali diventò industriale.

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Come negli altri classici mazzi di carte italiani, anche le napoletane presentano quattro semi: denari, spade, coppe e bastoni. Ogni seme conta 10 carte: re, cavaliere e fante e 7 carte numerate. Il gergo popolare campano travisa i tratti femminei del fante come “donne” mentre il tre di bastoni nella tradizione popolare anche a causa dell’inquietante iconografia costituita da un faccione baffuto giustapposto su tre “mazze” incrociate è denominato il “gatto mammone”. Uno dei giochi più diffusi in Campania ma anche nel resto d’Italia era ed è senz’altro la scopa che a Napoli trovò una declinazione ancora più elaborata nello scopone scientifico. Le prime menzioni ufficiali di questo gioco si trovano nel cosiddetto “codice di Chitarrella” un manuale datato 1750, scritto in latino probabilmente da un monaco domenicano semianalfabeta di origine partenopea, che per primo codificò le regole e i punti di questo gioco immortale giunto immutato sino ai nostri tempi. Altro gioco caratteristico era il 7 e ½, passatempo che soprattutto durante il periodo natalizio continua ad essere diffuso a livello plebiscitario non solo in Campania e che sostanzialmente premia i giocatori che tramite la somma delle carte riescono ad avvicinarsi al punteggio di 7 e ½.
Altrettanto caratteristico è il gioco del tresette, forse uno dei passatempi con le carte napoletane che richiede più studio, esperienza e abilità di calcolo e che di solito si svolge in 4 giocatori divisi in coppie da due persone. Altri giochi popolari sono l’asso pigliatutto e la briscola ma tralasciando le carte uno dei giochi più diffusi a Napoli e in tutta la Campania soprattutto nel periodo delle feste è senz’altro la tombola che fu inventata proprio da un re campano, Carlo III di Borbone che nel 1734, dopo una disputa con un frate napoletano (tal Gregorio Maria Rocco), regolamentò il gioco per incassare gli introiti delle tasse esentando i sudditi dal pagamento dei tributi all’erario regale durante il Natale. Più o meno nello stesso periodo della tombola si diffuse a macchia d’olio anche il lotto, gioco per il quale la smorfia napoletana ha costruito un sistema di lettura per convertire in numeri l’immaginario onirico.


Articolo pubblicato il giorno 11 Agosto 2020 - 18:08

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