“Andrea di questa cosa dell’ordine di servizio non ne parlare con nessuno, Ottaviani (capo della stazione dei carabinieri di Piazza Farnese all’epoca dei fatti ndr) gia’ sa tutto, vieni da me e lo compiliamo”.
E’ quanto scrive il maresciallo Gaetano Armao, il 28 luglio scorso in un messaggio inviato ad Andrea Varriale, prima che il collega di pattuglia di Mario Cerciello Rega venisse chiamato dai superiori a raccontare sui fatti del 26 luglio. Il messaggio e’ stato reso noto oggi in aula nel corso del processo a carico dei due americani. Armao e’ il superiore di Varriale.
“Bisogna sistemare la questione dell’ordine di servizio – scrive ancora Armao – e’ vuoto, lo devi compilare almeno con l’intervento” facendo riferimento all’identificazione di Sergio Brugiatelli, il presunto mediatore dei pusher di Trastevere. Sul punto Varriale spiega: “a piazza Mastai avevo preso un appunto su un foglio di carta con le generalita’ di Brugiatelli per poi riportarlo con calma in caserma”.
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“Con senza o senza pistola le cose non sarebbero cambiate, forse se avessimo avuto l’arma sarebbe andata peggio”. Ne e’ convinto Andrea Varriale, il carabiniere che era di pattuglia, in borghese, con il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega la notte del 26 luglio. Il militare ha proseguito, davanti ai giudici della prima corte d’Assise, la sua testimonianza nel processo che vede imputati per concorso in omicidio Finnegan Lee Elder e Gabriele Natale Hjorth.
Nella lunga ricostruzione Varriale ha cercato di chiarire alcuni aspetti di una vicenda complessa. Sulla pistola, in particolare, il carabiniere ha ammesso di avere commesso “un errore stupido, una leggerezza” quando racconto’ il falso, alcuni giorni dopo il fatto, al colonnello Antonio Petti, ex capo del gruppo Roma, affermando che quella notte aveva con se’ la pistola di ordinanza e che l’aveva consegnata al suo “comandante di stazione in ospedale”.
Varriale ha rivendicato la scelta di non portare la Beretta per questioni di praticita’, ma a “tanti colleghi, subito dopo i fatti, avevo detto che non l’avevo”. Il collega di Cerciello ha ribadito che quella notte si qualificarono e mostrarono la placca di riconoscimento. “Quella notte non eravamo preoccupati. Ci sembrava una cosa da nulla, da ladro di polli. A Trastevere sono molte le fregature che vengono fatte a chi cerca droga – ha aggiunto -. Quella ci sembro’ una ‘sola’ e la pasticca trovata a piazza Mastai era palesemente tachipirina”.
Il militare ha spiegato, inoltre, che “il tesserino e gli effetti personali di Cerciello” li ritrovo’ sul “muretto esterno del Pronto soccorso del Santo Spirito”, l’ospedale dove furono portati dopo la drammatica colluttazione con i due studenti americani. Nel corso del controesame, rispondendo alle domande di uno dei difensori di Elder, il militare non ha saputo spiegare perche’ non risultino tracce di messaggi e chiamate sul suo telefono cellulare effettuate il 26 luglio.
“Ci sono i messaggi del 25 e del 27 luglio. Quelli del 26 no”, ha detto l’avvocato Renato Borzone in aula. Varriale ha poi riferito sulle fasi dell’arresto dei due imputati e della vicenda della bendatura di Natale Hjorth. “Lo vidi cosi’ in una stanza della caserma di via in Selci e rimasi sorpreso, non avevo mai visto un arrestato tenuto in quel modo. Mi e’ parsa una cosa molto strana”.
Il teste ha raccontato anche del caso della foto comparsa sui media. “Non sapevo assolutamente del fatto che era uscita quella fotografia. Le indagini dell’Arma su questa sono iniziate subito. Il 28 luglio fui chiamato dal comandante di Compagnia di allora il Maggiore Aniello Schettino. Incontrai il colonnello Antonio Petti, l’allora comandante del gruppo Roma, in un colloquio informale con lui dissi che non avevo fatto io la fotografia”. Nel corso dell’audizione Varriale ha raccontato anche del video che fece con il suo telefonino a Natale mentre era bendato, finito poi negli atti dell’indagine.
“Volevo associare la voce, che avevo su whatsapp perche’ Cerciello aveva registrato una telefonata intercorsa tra Natale e Brugiatelli, al volto e cosi’ gli ho fatto qualche domanda”, ha spiegato. Il testimone ha anche ricordato la figura del suo collega di pattuglia: “Mario – ha detto – era sempre in prima linea. Era il nostro maestro, era il piu’ esperto. Alcune delle nostre indagini sono partite proprio da sue intuizioni, era il piu’ esperto di tutti. Non era assolutamente un violento e io ho imparato tantissimo da lui. Il nostro approccio in questi interventi e’ stato sempre pacifico”.
Articolo pubblicato il giorno 17 Luglio 2020 - 07:41 / di Cronache della Campania