La vita felice è l’opera prima del calabrese Pietro Versace. Romanzo on the road, venato di riferimenti autobiografici, che rimanda a un topos ben noto della nostra letteratura: quello del giovane intellettuale di provincia, e del Sud in particolare, catapultato, un po’ per scelta e un po’ per necessità, nel mondo della grande metropoli: Bruxelles, al tempo della globalizzazione e dell’Europa unita.
Nella capitale belga, la vita divisa tra lavoro e flânerie, dove le avventure fugaci con donne dello stesso ambiente o con prostitute vengono umoristicamente tratteggiate, è rotta da un evento tragico: gli attentati jihadisti del 22 marzo 2016, che a Bruxelles faranno ben 32 morti. Inizia così il viaggio della memoria, e con esso il sottile processo di recupero dell’identità conseguente al trauma, attraverso affascinanti descrizioni di luoghi dal valore mistico, visioni d’arte, incontri che segnano, passioni che tormentano.
Il protagonista vive infatti, fra passato e presente, sempre tra due mondi: quello del paese natio e quello delle città dove lavora (Bruxelles, Roma) o dove si reca in viaggio (Gerusalemme, Mosca), e non capisce mai dove abbia trovato o dove troverebbe una “vita felice”. La Storia, del resto, è una passione e quasi un’ossessione per, che intermezza più volte il racconto delle sue vicende con riferimenti all’amatissimo Napoleone o a Cesare.
L’io narrante presenta poi due figure femminili, che risaltano per l’instabile stabilità entro la sua vita inquieta. La donna con cui avrebbe potuto anche sposarsi (Maya) e la ricca amante (Marta): due storie che mostrano il dilemma, irrisolto, se nell’amore si cerchi il sesso e se nel sesso si cerchi l’amore.
Un punto fermo solo sembra esserci nella sua vita. Non è la famiglia, perché il romanzo ci racconta di un costante vissuto problematico con il Super-Io paterno, ma “Zi Mariu”, coetaneo di suo padre, analfabeta, con un passato di emigrante in Germania e che il Belgio se lo ricorda come quello dei nostri poveri morti di Marcinelle. Ma la morte gli strappa via anche lui, così come le cose della vita pongono fine alla vita amicale e quasi premoderna di paese.
Infanzia, adolescenza e maturità, amore e disamore, essere figli ed essere padri, essere paesani ed essere cittadini del mondo: solo alla fine, dopo un ritorno a Collodi, di fronte a una fiaba, tutto apparirà finalmente conciliato, risolto.
Lo stile è leggero, picaresco, autoironico. Il linguaggio semplice, moderno ed eccezionalmente scorrevole, trascina alla lettura tanto nei racconti cosmo-paesani, quanto nei passi in cui l’introspezione si fa più acuta, complessa, emozionale.
E’ il tradizionale binomio esistenzialista di colpa e redenzione a costituire il fil rouge di questo ritorno ad Itaca, ancora in corso, in cui sta agli occhi del lettore decidere se prevalga la rincorsa o la fuga, la finzione o la realtà, da quale dimensione della tela allontanarsi, e da quale lasciarsi irretire.
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Pietro Versace, classe 1981, è un professionista del settore energetico. Cresciuto in Calabria, studia a Roma, passando poi molti anni all’estero come consulente di settore. Si trova a Bruxelles il giorno degli attentati terroristici del Marzo 2016. Con “La vita felice” (2020) esordisce nel campo letterario.
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