Così come stabilito dalla sentenza della corte d’appello di Roma nell’incidente di esecuzione promosso dalla curatela fallimentare, assistita dall’avvocato Elio D’Aquino.
La procedura risoltasi favorevolmente alla curatela sventa il tentativo degli armatori di bloccare il trasferimento del danaro dalla Svizzera all’Italia per metterli a disposizione degli obbligazionisti truffati così come è stato stabilito nella sentenza di fallimento.
Con l’incidente di esecuzione si dovrebbe rimettere in moto la procedura per il passaggio dei soldi, 27 milioni di euro, contenuti in tre trust depositati in una banca di Lugano. Proprio il trust titolare dei conti correnti in Svizzera aveva eccepito all’autorità elvetica un contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza, provando così ad ottenere il salvataggio del piccolo tesoretto svizzero.
La Procura di Lugano ha chiesto chiarimenti alla magistratura italiana che a sua volta ha risolto l’inghippo chiarendo che quei soldi dovranno essere trasferiti in Italia per ristorare gli obbligazionisti raggirati. In particolare, la Corte di Appello di Roma ribadisce che i trust sono sicuramente riconducibili agli imprenditori condannati, circostanza confermata anche dal Procuratore generale di Lugano che ha deliberato sulla scorta di una relazione dell’ufficio federale di polizia elvetica.
I giudici romani, quindi ribadiscono la circostanza che i tre trust sequestrati devono essere posti a ‘garanzia delle obbligazioni civili derivanti dal reato come da richiesta delle parti civili costituite’.
La seconda sezione della Corte d’Appello di Roma, interpellata dalla curatela fallimentare, ha chiarito che i soldi contenuti nei tre trust riconducibili ai falliti (Darly Company, Yellow Cats Company e Future Holdings) rappresentano «somme sottratte ai titolari formali e messe a disposizione dell’autorità giudiziaria che ne ha disposto il sequestro».
Ora le autorità elvetiche dovranno recepire la decisione dei giudici italiani e far ripartire l’iter per il trasferimento del danaro in Italia, a meno che gli imprenditori condannati e i loro legali non abbiano pronte nuove iniziative legali per bloccare il tesoretto.
Sono passati ormai otto anni dal fallimento della Deiulemar, la compagnia di navigazione di Torre del Greco che aveva costruito un colosso con i soldi degli obbligazionisti, gran parte cittadini torresi, che avevano creduto nelle capacità della storica famiglia poi fallita. Otto anni nei quali si è cercato di ricostruire i passaggi che hanno portato centinaia di milioni all’estero, nascosti in trust e fondi ritenuti a prova di sequestro. Ottocento milioni di euro di debiti: a tanto ammonta il sequestro delle somme disposto dai giudici del fallimento per ristorare i creditori, gran parte dei quali sono proprio gli obbligazionisti.
In questi otto anni, curatela fallimentare e parti civili, (in particolare gli avvocati Alfonso Iovane, il commercialista Vincenzo Di Paolo e la dottoressa Paola Mazza) hanno cercato quel tesoro che gli armatori hanno cercato di nascondere nei paradisi fiscali (Malta, Svizzera) per sottrarli alla curatela fallimentare e dunque ai truffati.
Una ricerca lenta e complicata quella del tesoro Deiulemar, ricca di imprevisti e cavilli giuridici e burocratici. Non è mancata neppure la ‘resistenza’ diplomatica dei cosiddetti paradisi fiscali che fino ad ora hanno ‘nascosto’ agli occhi dei creditori tesori ben più sostanziosi, come quello da 300 milioni di euro depositato in un trust maltese e finora risultato inaccessibile. Il sequestro disposto dalla magistratura italiana si scontra con l’ostracismo delle leggi maltesi che tendono a tutelare i depositi custoditi nella Bank of Valletta, nonostante siano stati accumulati grazie ad un colossale raggiro ai danni di migliaia di obbligazionisti.
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