Le aree del mondo inquinate e sovraffollate sarebbero quelle maggiormente soggette al contagio e soprattutto alle morti per l’epidemia da Coronavirus e peraltro quelle dove negli ultimi decenni si registra un importante declino della qualità spermatica.
Un quadro che emerge dal lavoro dal titolo “Semen Quality as a Potential Susceptibility Indicator to SARS-CoV-2 Insults in Polluted Areas DOI:10.20944/preprints202006.0314.v2″ per ora in preprint in attesa di fare il suo corso su una rivista internazionale Peer Review.
In esso è stata osservata una sorprendente sovrapposizione fra le aree a più alto tasso di mortalità per Covid-19, con quelle più inquinate al mondo dove negli ultimi decenni vi è stato un calo importante della qualità spermatica. La prima firma di questo studio che coinvolge ricercatori di diverse Università italiane (Brescia, Varese, Napoli) è del dottor Luigi Montano, UroAndrologo dell’ASL di Salerno e Presidente della Società Italiana di Riproduzione Umana che sottolinea: “I tassi di incidenza, prevalenza, e mortalità per patologie cronico-degenerative in una determinata area rappresentano indicatori epidemiologici che possono dare la misura di suscettibilità di danno a livello di popolazione, la stessa informazione potrebbe essere fornita dalla qualità del seme, essendo un precoce ed ottimo indicatore di salute generale di una data popolazione in relazione alle condizioni ambientali di un determinato territorio”.
Lo studio evidenzia inoltre la distribuzione dei contagi e soprattutto l’indice di mortalità che partendo da Wuhan in Cina, Corea del Sud, Iran e Nord Italia è proseguita verso la Spagna, l’Europa e l’area di New York, fra fra il 30° ed il 50° parallelo dell’emisfero Nord, proprio nella stagione climatica invernale dove si registrano tassi più alti di inquinamento.
L’inquinamento inducendo stress ossidativo e riducendo le difese dell’organismo, favorisce l’impatto del Covid-19 e proprio le cellule spermatiche che hanno alta sensibilità agli effetti proossidanti degli inquinanti atmosferici possono per prime risentire ed essere sentinelle della salute ambientale del territorio anche con potenzialità di predittività di danno ad insulti esterni, compreso il Coronavirus. In sintesi questa osservazione che deriva dagli studi da tempo in corso con il progetto di ricerca EcoFoodFertility nella definizione dei marcatori precoci di danno come quelli seminali, aprono a nuovi scenari per la valutazione dell’impatto ambientale e per la rilevazione precoce del rischio, rappresentando nel complesso un possibile nuovo approccio metodologico in sanità pubblica.
D’altronde, conclude Montano: “Il seme oltre ad essere un sensibile e precoce indicatore della qualità ambientale è anche un indicatore di salute generale e sempre più sono gli studi che evidenziano come la scarsa qualità seminale sia fortemente associata al rischio per tutte le malattie cronico-degenerative nella fase adulta”.
Articolo pubblicato il giorno 7 Luglio 2020 - 19:04