“la verità sulla morte di Giulio Regeni resta una priorità, non abbiamo smesso di chiedere progressi tangibili alle autorità egiziane per individuare i responsabili. Io stesso, nei miei colloqui con il presidente Al Sisi, non ho mai smesso di fare pressione perché siano raggiunte trasparenza e verità, anche se ammetto che finora non ho ottenuto grandi risultati”. Queste le parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ascoltato dalla Commissione della Camera dei deputati istituita per far luce sull’omicidio di Giulio Regeni, il ricercatore ventottenne dell’Università di Cambridge, ritrovato morto il 3 febbraio 2016 dopo essere stato brutalmente torturato.
Ancora oggi, dopo 4 anni dalla sua morte, non è stata fatta chiarezza su quanto accaduto. I continui depistaggi e la mancanza di collaborazione da parte della magistratura egiziana hanno generato da subito il dubbio che in merito alla morte del giovane ricercatore siano coinvolti i servizi di sicurezza egiziani, per mesi impegnati a pedinare Regeni e convinti che fosse una spia, insospettiti dalle sue ricerche universitarie sui sindacati indipendenti. A riaccendere il dibattito politico sono state le dichiarazioni di Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio, i quali hanno dichiarato di sentirsi traditi, soprattutto in seguito alla decisione del Governo italiano di predisporre la vendita di due navi militari all’Egitto, per un valore di 1,2 miliardi di dollari.
Per il Presidente Conte “i nostri rapporti con l’Egitto non compromettono la ricerca della verità, ma anzi consentono a noi di ampliare la nostra influenza”. Tali dichiarazioni in seno alla Commissione d’inchiesta non hanno però placato gli animi, generando rilevanti spaccature nella maggioranza. Ad evidenziare il malcontento all’interno del Governo giallo-rosso è stata la deputata del Pd Lia Quartapelle, affermando che con tali scelte, l’Italia sia diventata, negli ultimi anni, il principale venditore di armi per l’Egitto. Anche l’ex Ministro degli Esteri Emma Bonino ha espresso il proprio disappunto, richiedendo che le gravi violazioni dei diritti umani compiuti dal Cairo siano argomenti da affrontare a livello europeo.
Alla vigilia dell’audizione del premier Conte, il Ministro degli Esteri Di Maio, attraverso un forte gesto politico, ha indirizzando al suo omologo egiziano, Sameh Shoukry, una lettera in cui si legge che “ i rapporti bilaterali tra Italia ed Egitto non possono prescindere dalla verità sulla morte di Giulio Regeni. Per questo serve un rapido riscontro alla rogatoria, in particolare in merito alla notifica del domicilio legale degli indagati”, aspetto, quest’ultimo, fondamentale per permettere alla Procura di Roma di notificare ufficialmente gli atti.
Ieri, 22 giugno, l’ennesima messa in scena del Governo egiziano: il Cairo ha consegnato ai genitori di Giulio alcuni oggetti ritrovati nella casa di una delle cinque persone accusate ingiustamente di far parte di una banda di sequestratori, uccisi dalle forze di sicurezza egiziane in seguito a un tentativo di depistaggio messo in piedi dall’intelligence. Tra gli oggetti restituiti alla famiglia, soltanto i tesserini universitari, il passaporto e il bancomat risultano essere di Giulio. Tutti gli altri, come raccontato dai familiari, non appartengono al ricercatore, bensì sono parte del tentativo del 2016 di deviare le indagini attraverso l’ipotesi di sequestro a scopo di riscatto. Tra gli oggetti personali inviati dal Cairo, inoltre, mancano i vestiti indossati dal ricercatore friulano il giorno del ritrovamento, di estrema rilevanza per gli investigatori italiani.
Possibili risvolti si potrebbero registrare il 1 luglio, data in cui si terrà una video conferenza tra le procure dei due paesi, al fine di interrompere il lungo silenzio dell’Egitto durato per più di un anno.
A far riflettere non è soltanto la rabbia dei genitori di Giulio, ma la politica estera adottata dall’Italia. In poco tempo si è ricostituita una forte partnership tra il nostro Paese e l’Egitto e si è deciso, inoltre, di ricoprire il ruolo di mediatore tra quest’ultimo e la Turchia, considerata grande nemica del regime del Cairo. Tale politica estera è stata definita dalla Farnesina “multilaterale” e considerata dallo stesso Premier Conte funzionale all’obiettivo di ottenere risultati sul fronte giudiziario.
Le obiezioni sulle scelte adottate sono comprensibili. Si sarebbe potuto optare per una strada alternativa, opposta a quella già intrapresa: considerare l’ottenimento della verità sul caso Regeni una condizione imprescindibile, da pretendere prima che venissero avviati i negoziati per la vendita delle navi e non dopo, ad accordi ormai chiusi. Seppure le interlocuzioni del Governo italiano abbiano sempre posto il caso Regeni in cima ad ogni colloquio, il rischio è che la giustizia per Giulio “possa essere sacrificata sull’altare dell’interesse nazionale”, in favore di scambi commerciali con un paese, l’Egitto, impunito per le sue continue violazioni dei diritti umani. Ancora oggi, dopo quattro mesi, lo studente egiziano dell’Università di Bologna Patrick Zaki è tenuto prigioniero per il reato di propaganda sovversiva tramite Facebook, torturato per giorni al fine di ottenere informazioni sul suo rapporto con l’Italia e Giulio Regeni. Ciò che è accaduto a Zaki, al nostro connazionale o a persone come Sarah Hegazi, attivista Lgbt arrestata e torturata per aver esposto la bandiera arcobaleno, non sono casi isolati. Ancora oggi, migliaia di attivisti sono tenuti prigionieri senza che sia loro riconosciuto un giusto processo e con ogni probabilità sottoposti a torture che il più delle volte portano alla morte.
E’ forse giunto il momento che i diritti umani riacquisiscano la loro innegabile rilevanza tra le priorità dell’agenda politica, non soltanto a livello nazionale, ma nelle opportune sedi europee, da cui sarà possibile, con maggior incisività, richiedere ai partner commerciali l’incondizionata necessità di rispettare i diritti di ognuno, pretendendo che, per persone come Giulio Regeni, sia fatta giustizia.
Marco Barbato
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