I fatti emersi all’indomani dell’inchiesta dell’Antimafia sulle cosche di Marano, ci hanno riportato ad una delle pagine più nere della storia di Torre Annunziata: l’omicidio di Giancarlo Siani, giovane cronista de “Il Mattino”, corrispondente dalla città oplontina, assassinato il 23 settembre del 1985.
Torre Annunziata – afferma il sindaco Vincenzo Ascione – ha in parte rimarginato quella ferita, rimasta per troppo tempo aperta, con il conferimento della Cittadinanza Onoraria post-mortem a Giancarlo e con l’inaugurazione, lo scorso 13 dicembre, di una panchina dedicata alla libertà di stampa.
Secondo le indagini condotte dal Nucleo Investigativo dei carabinieri di Napoli, i clan egemoni nella città a nord del capoluogo campano hanno continuato a dare la cosiddetta “mesata” alle famiglie di due degli assassini di Siani, entrambi condannati all’ergastolo. Uno scenario di certo non nuovo, ma che accende i riflettori sul controllo esercitato dalla camorra nei confronti dei propri affiliati e delle famiglie.
Dice bene l’on. Paolo Siani, fratello di Giancarlo: “Quello che i clan comprano è il silenzio. Ma non solo. Per loro è anche importante portare le famiglie dei malavitosi dalla loro parte. Pagando mettono anche un’ipoteca sui figli carcerati che dovranno restare camorristi. Solo un intervento forte dello Stato può convincere questi ragazzi a cambiare”.
Sul nostro territorio lo Stato in questi anni ha fatto tanto – prosegue il primo cittadino -. Magistratura e forze dell’ordine hanno condotto un lavoro straordinario che ha prodotto un significativo cambiamento anche nella società civile, e che ha decimato a colpi di inchieste ed arresti i ranghi delle cosche egemoni.
Resta, però, ancora complicato estirpare alla radice la mentalità mafiosa di chi nasce e cresce in
determinati ambienti, nei quali i modelli di riferimento sono genitori o familiari che hanno speso la propria vita al servizio della camorra.
I recenti accadimenti avvenuti non devono però scoraggiarci. Torre Annunziata – conclude il sindaco –
non è più la città degli anni ’80, quella in cui si sparava quasi ogni giorno, e nella quale si percepiva il peso oppressivo della criminalità organizzata. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma la strada intrapresa è senz’altro quella giusta».
Articolo pubblicato il giorno 27 Maggio 2020 - 13:00