“Mi hanno assicurato che non sarei stata uccisa e così è stato”. E’ quanto ha riferito Silvia Romano agli inquirenti che questo pomeriggio dopo l’arrivo in Italia l’hanno ascoltata in una caserma a Roma.
A svolgere l’atto istruttorio, durato circa 4 ore, il pm della Procura di Roma, Sergio Colaiocco, titolare del fascicolo aperto a piazzale Clodio per sequestro di persona per finalità di terrorismo, con gli ufficiali dell’antiterrorismo del Raggruppamento operativo speciale dell’Arma dei Carabinieri. “In questi mesi – ha detto – sono stata trasferita frequentemente e sempre in luoghi abitati e alla presenza degli stessi carcerieri”
Provata ma “serena”. Così è apparsa agli inquirenti Silvia Romano, ascoltata per quasi 4 ore nella caserma del Ros in via Salaria, a Roma. Un atto istruttorio lungo e sul quale chi indaga mantiene il più stretto riserbo. La ragazza ha varcato l’ingresso della caserma intorno alle 15 proveniente dall’aeroporto di Ciampino. Nel rispetto delle normative anti covid la giovane, con mascherina e in abbigliamento islamico, ha raccontato gli ultimi 18 mesi e le varie fasi del sequestro, iniziato nel novembre del 2018 in Kenia. “Voglio dire subito – ha detto Silvia – che durante la prigionia sono stata trattata bene, non sono mai stata minacciata di morte”. Un concetto, quello dell’assenza di coercizione, ribadito più volte anche in relazione alla conversione. Con l’aiuto di chi da Roma ha condotto le indagini sulla sua vicenda, la cooperante milanese ha cercato di mettere a fuoco i ricordi, partendo dal giorno in cui è stata prelevata da una banda armata in Kenya. Erano in otto, una azione compiuta forse su commissione dei militanti del gruppo islamista Al Shabaab a cui la ragazza è stata poi ceduta dopo un lungo viaggio di trasferimento in Somalia. Un trasferimento che e’ durato alcuni giorni, in moto ma anche a piedi. “Mi hanno assicurato che non sarei stata uccisa e cosi’ e’ stato, non ho subito violenze”, ha aggiunto la ragazza che ha poi raccontato di avere cambiato spesso luoghi di prigionia. “Avvenivano spesso i trasferimenti – ha proseguito -.
Sono stata portata sempre in luoghi abitati, non sono mai stata legata, ho cambiato quattro covi. Mi chiudevano in stanze di abitazioni, sono sempre stata da sola, non ho visto altre donne”. Covi che, ha precisato Silvia, “erano raggiunti sempre a piedi camminando per chilometri”. Silvia ha spiegato agli investigatori di essere stata sempre con gli stessi carcerieri. “Loro erano armati ed a volto coperto, ma sono sempre stata trattata bene ed ero libera di muovermi all’interno dei covi, che erano comunque sorvegliati”, ha precisato. Per quanto riguarda, infine, la sua conversione all’Islam, la 25enne ha ribadito che e’ stata una scelta “spontanea”. “E’ successo a metà prigionia, quando ho chiesto di poter leggere il Corano e sono stata accontentata”, ha spiegato. Insomma una conversione spontanea non legata, stando al suo racconto, al matrimonio con un carceriere: “non c’è stato alcun matrimonio né relazione, solo rispetto”, ha detto ai pm. I carcerieri, ha detto Silvia, erano sempre presenti almeno in tre. “Mi hanno spiegato le loro ragioni e la loro cultura, ho imparato anche un po’ l’arabo: il mio processo di riconversione è stato lento e spontaneo”.
Articolo pubblicato il giorno 10 Maggio 2020 - 21:23