Così gli artigiani del presepe a Napoli protestano nel giorno dell’apertura di tutti i negozi in Italia, sottolineando la crisi profondissima per il covid19. San Gregorio Armeno, la strada sempre affollata di turisti tutto l’anno e gremita con tanto di sensi pedonali obbligati da novembre a Natale, è deserta. In strada solo i pastorai. “Chiediamo subito un incontro al governatore De Luca – spiega l’artigiano Dino Bavaro – dopo aver parlato con il sindaco per continuare questa splendida tradizione. Dopo tre mesi di chiusura siamo in ginocchio, la produzione e’ ferma e la vendita e’ zero, ci serve un sostegno per mantenere la tradizione del presepe napoletano”.
Un tradizione che continua e che attira turisti tutto l’anno: “Negli ultimi anni – prosegue – il centro storico di Napoli e’ affollato non solo nel periodo natalizio, a maggio, a pasqua, in estate, ci sono sempre turisti e con San Gregorio volano anche bar, pizzerie, bed and breakfast della zona. San Gregorio prescinde ormai dal periodo, il turista che viene a maggio o a settembre vuole il pastore. Ora ripartiamo da sottozero”. Genny Di Virgilio sottolinea che “de Magistris ci ha ricevuto subito e ci ha detto che ci starà vicino. Ma il Comune non ha possibilità di sostenerci e oggi chiediamo un aiuto perché questa vetrina internazionale che richiama migliaia di turisti non può essere abbandonata è un biglietto da visita di Napoli. Siamo circa 50 e ognuno ha almeno un dipendente che ora e’ in cassa integrazione ma quando riapriamo ognuno avra’ dei grossi problemi, ci serve un sostegno per la ripartenza, abbiamo scritto una lettera a De Luca chiedendo un incontro, aspettiamo risposta”. I pastorai ricordano di nona aver mai chiesto niente, neanche nel 2016 quando regalarono il vicolo a Dolce e Gabbana per la loro sfilata per una settimana, senza alcun rimborso. “Questa è una strada – spiega Lucio Ferrigno – unica al mondo, dove si produce un’arte in esclusiva. Il nostro non è un discorso egoistico perché siamo il motore per tante attività del centro storico, vogliamo sederci al tavolo, essere un interlocutore nella nostra veste di veicolo di cultura”.
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