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Fatture false e riciclaggio così il clan Russo si era infiltrato in Toscana. I DUE ARRESTATI

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Fatture false e iniezioni di liquidità per gli imprenditori del settore conciario toscano, finalizzate all’evasione di tasse e contributi. E’ quanto hanno scoperto i carabinieri del comando provinciale di Firenze in una indagine nata come proseguimento dell’inchiesta Vello d’Oro del febbraio 2018.

Stamani, i militari hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip Silvia Romeo, su richiesta della procura distrettuale antimafia del capoluogo toscano, nei confronti di 2 persone ritenute responsabili di riciclaggio, impiego di denaro di provenienza illecita, emissione di fatture per operazioni inesistenti. Le indagini, dirette dal sostituto procuratore Giuseppina Mione, hanno permesso di disvelare il meccanismo illecito attuato da Ciro Taglialatela, figlio di Bruno, esponente di spicco del clan Lo Russo, e Vincenzo Bocchetti, i quali, che come referenti delle ditte Brupel e World Pellami di Casavatore, nel Napoletano, attive nel settore del commercio di pellami, hanno trasferito e sostituito ingenti somme di denaro di provenienza illecita, attraverso il meccanismo già scoperto con la precedente indagine , culminata nell’esecuzione di ordinanza di custodia cautelare a carico di 14 indagati il 19 febbraio 2018. Le indagini, svolte con l’ausilio di attività tecniche e attraverso accertamenti di natura contabile e bancaria, hanno dimostrato che, nell’estate del 2015, i due indagati erano subentrati a calabresi legati alle famiglie di ‘ndrangheta dei Nirta e dei Barbaro nei rapporti illeciti di natura economica con gli imprenditori toscani. Intermediario degli imprenditori era ancora Cosma Damiano Stellitano, già tratto in arresto a febbraio del 2018.

PUBBLICITA

I due napoletani ricevevano falsi ordinativi di merce (pellame, grasso animale e altro) da parte di imprese toscane, operanti nel distretto al confine tra le province di Firenze e Pisa e in larga parte già coinvolte nella precedente indagine; emettevano quindi false fatture per le forniture relative ai fittizi ordinativi di merce, ricevendo pagamenti tramite bonifici bancari; consegnavano, al posto dei prodotti ordinati sulla carta, attraverso una rete di spedizionieri compiacenti, denaro contante di provenienza illecita per centinaia di migliaia di euro, ma per importi inferiori a quanto ricevuto a titolo di pagamento delle fatture. Il denaro versato nelle attività economiche toscane veniva impiegato principalmente per retribuire le prestazioni cosiddetti “fuori busta” dei lavoratori dipendenti e ridurre pertanto gli esborsi di carattere previdenziale. Le fatture per operazioni inesistenti venivano poi utilizzate dai medesimi imprenditori toscani per dichiarare elementi passivi fittizi per evadere le imposte sul reddito o sul valore aggiunto; annotando in contabilità le false fatture, abbattevano gli utili delle proprie aziende (quindi pagavano una minore imposta sul reddito delle persone giuridiche), registravano un credito Iva fittizio e, quindi, scaricavano sull’erario il costo del finanziamento illecitamente ottenuto. Complessivamente sono 18 le persone indagate, tra collaboratori di Taglialatela e Bocchetti, titolari di imprese toscane e responsabili di ditte di spedizioni, tutti già destinatari di decreti di perquisizione e contestuale informazione di garanzia eseguiti nell’ottobre 2018 nei confronti di 28 abitazioni e sedi di imprese.


Articolo pubblicato il giorno 11 Maggio 2020 - 10:15
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