atore ex cappellano dell’ospedale San Giuseppe Moscati. Nei giorni della lotta al Coronavirus, che vede proprio il Moscati al centro della battaglia, la notizia del lutto colpisce l’intera comunità del nosocomio di contrada Amoretta. A darne notizia è lo stesso vescovo di Avellino, monsignor Arturo Aiello che tramite la sua pagina social ha deciso di annotare un commosso ricordo dell’uomo di fede, l’amico:
Carissimo Don Salvatore,
quando mio fratello Carmine per telefono mi comunicò che l’esame istologico era risultato positivo per un cancro al colon (lo avrebbe portato in breve alla morte), ci fu un momento di silenzio, poi mi venne di dirgli “Non siamo migliori degli altri!”. Forse non fu una risposta carina, ma volevo dirgli “noi non siamo privilegiati, viene anche il nostro turno in questa lotta al cancro dove cadono in tanti!”.
È la stessa cosa che ho pensato quando Don Antonio Fucci stamattina, alle 7.45, mi ha comunicato che eri partito nella notte per un arresto cardiaco. Noi preti, uomini come tutti, impastati nella storia, ad alto rischio di contagio (in tutti i sensi), non siamo esenti dal dramma di questi giorni e, in vita e in morte, facciamo compagnia, come viandanti, ai nostri parrocchiani. Riposa in pace, Salvatore, mite e festoso, ti venga incontro Gesù, nostro Signore, per il quale abbiamo dato la vita.
Entrando in Diocesi, tre anni fa, ti ho trovato “libero battitore”, prete sempre disponibile alle richieste di sostituzione dei tuoi confratelli, presbitero delle comunità neocatecumenali di San Ciro, predicatore itinerante in diocesi, sempre con il sorriso aperto, pronto alla battuta, esuberante di gioia nonostante i tre infarti e le altre patologie che facevano di te un miracolo vivente. L’anno scorso mi hai manifestato il desiderio di occuparti nuovamente di una parrocchia e solo da qualche mese eri alla guida della Parrocchia di Tavernola San Felice di Aiello: “Posso ancora fare del bene per il tempo che mi rimane!” mi dicesti.
Grazie, don Salvatore, per la tua umanità, per i tuoi trascorsi da laico di cui si favoleggiava a mensa, per le tue barzellette, per l’amore al vino e alla convivialità, per il coraggio che avesti quarant’anni fa di lasciare la tua ragazza per dare una svolta alla vita seguendo Gesù che ti apriva altri orizzonti, orizzonti alti.
Il tuo sogno nel cassetto era diventare Cappellano militare, sentivi il fascino della divisa, era un richiamo del sangue…, con Mons. Forte si ripiegò per la cappellania dell’Ospedale: anche quello era un fronte. Me ne parlasti nell’ultimo pranzo qui in episcopio.
Tutti abbiamo avuto dei sogni irrealizzati, forse non erano per il nostro bene? Oggi certamente ne ridi con quella risata fragorosa che diventava contagiosa: “tutto concorre al bene per coloro che amano Dio”.
Riposerai nella cappella di famiglia, nel cimitero di Cesinali, accanto alla tua mamma, come avevi desiderato. “E il cuore quando d’un ultimo battito/ avrà fatto cadere il muro d’ombra,/ per condurmi, Madre, sino al Signore,/ come una volta mi darai la mano.” Ricordi i versi di Ungaretti nella poesia “La Madre” del 1930? Il poeta immagina la morte come un tornare bambino con una mano che lo prende e lo conduce. “In ginocchio, decisa,/ sarai una statua davanti all’Eterno,/ come già ti vedeva/ quando eri ancora in vita.” La mamma non si è stancata di pregare per il figlio, si pone, si frappone tra lui e Dio in un’opera di intercessione, di raccomandazione come sanno fare le madri del Sud, le nostre, che passavano da un lutto all’altro senza battere ciglio, con le mani consumate dal lavoro e dai rosari, con gli occhi sempre lucidi di pianto, belle nel sacerdozio che la Chiesa ci ha donato, ma che abbiamo imparato da loro. “E solo quando m’avrà perdonato,/ ti verrà desiderio di guardarmi./ Ricorderai d’avermi atteso tanto,/ e avrai negli occhi un rapido sospiro”.
“Finalmente sei tornato!” ti ha detto tua madre con lo stesso accento di preoccupazione con cui salutava, sul far della sera, il tuo rientro sempre ritardatario dai giochi. Forse, Salvatore, la nostra vita, quella terrena, è tutta inscritta nei giorni di sole della nostra infanzia, il resto un prologo inglorioso sotto la bandiera della Croce. “E avrai negli occhi un rapido sospiro” chiude Ungaretti con una zoomata sul volto, negli occhi della Madre in cui passa un sospiro che dice “Finalmente!”.
Quello che il poeta dice della Madre noi lo sentiamo vero anche per Maria, la Madre del Signore, l’unica donna della nostra vita, Lei ti ha fatto compagnia nelle ultime ore, ha sostituito la Chiesa, ti ha fatto una carezza mentre il cuore, già terremotato, cedeva… Lei ti ha preso per mano come faceva tua madre con la tua mano bambina. Riposa in pace, Salvatore, verrò al cimitero per benedire la tua salma già stamattina e lo farò a nome dei tuoi confratelli. In questi giorni di peste, tra la morte e la sepoltura ci sono solo poche ore, non c’è spazio per le lacrime. Dicono che sono anch’esse contagiose. Ma se ci tolgono pure le lacrime cosa ci resta? Tu ridi di tutto questo, sei già altrove, nella Luce e nell’abbraccio di Gesù tuo Redentore. Mi guardi e mi dici: Eccellenza, “che importa? Tutto è Grazia!”
Ti benedico. Tu benedici il tuo vescovo e i tuoi confratelli”.