“Egregio direttore, siamo le donne detenute nel Carcere di Benevento, di preciso un gruppo di 8, che lavoriamo nella sartoria. Come saprete anche noi abbiamo trasformato il nostro laboratorio per la realizzazione di mascherine, accantonando la nostra produzione sia di pantaloni che asciugamani.
La realizzazione di mascherine ci ha gratificato e fatto sentire partecipi di questo grande problema del coronavirus. Sapere di aver aiutato molte persone a non essere contagiate.
In questo periodo, leggendo giornali e ascoltando la televisione, ci è sembrato di vivere in una sola comunità allargata di persone private della propria libertà. Ci è sembrato molto strano: sono anni che viviamo in questa realtà. E sapere che molti hanno provato un poco di quello che proviamo noi tutti i giorni. Anche consapevoli di pagare un conto alla giustizia, ma pur sempre mamme.
Però noi, producendo mascherine, ci siamo sentite mamme con più figli, di tutti voi. Speriamo che il nostro contributo non resti silente, ma sia come un grande urlo.
Per fortuna che abbiamo un direttore che è molto accorto ai nostri problemi affettivi, non ci ha fatto mancare gli affetti familiari facendoci effettuare 12 chiamate e 8 videochiamate al mese. Così abbiamo potuto vedere come passavano le giornate i nostri figli, trovandosi quasi nelle nostre condizioni e molto spesso la frase che ci ha colpiti è stata: ‘Mamma come fai a stare chiusa e sempre sorridente’.
Loro non sanno che noi sorridiamo per loro, ma quando si spegne l’immagine da quel telefono il sorriso svanisce e viene giù la tristezza. I nostri cari sono fieri di sapere che abbiamo contribuito alla società producendo mascherine”.
Articolo pubblicato il giorno 24 Aprile 2020 - 14:30