“Siamo i detenuti del Carcere di Napoli, Secondigliano, e questa missiva speriamo arrivi nelle mani di chi può darci una mano, sia da un punto di vista giuridico che dal punto di vista umano. Il nostro accorato appello è rivolto: al Presidente della repubblica, Sergio Mattarella, al presidente del consiglio, Giuseppe Conte e al ministro della salute, Roberto Speranza. E in quanto napoletani anche al presidente della regione Campania Vincenzo De Lua.
Innanzitutto, noi detenuti del carcere di Secondigliano, iniziamo dicendo che siamo stati tranquilli nel momento in cui ci sono stati sospesi i colloqui, non perché non eravamo sconvolti, anzi, ma perché fin da subito abbiamo compreso l’alto rischio di contagio a cui saremmo andati incontro se avessimo avuto dei contatti fisici con i nostri familiari. Però, man mano che abbiamo metabolizzato questa crisi epidemiologica, adesso iniziamo ad avere le nostre paure e i nostri dubbi”. Comincia così una lettera inviata dai detenuti del reparto 54 del carcere di Secondigliano e fatta pervenire alla nostra redazione da un familiare. “Partiamo dal presupposto che le pene vanno pagate con la privazione della libertà,- continua la lettera-non con la privazione della dignità e delle stesse vite però. Sappiamo troppo bene che il rischio di contagio da COVID-19 nelle carceri è una bomba pronta a esplodere in qualsiasi momento, e forse già siamo all’inizio, ad oggi si parla infatti di 15 detenuti contagiati, sempre se viene detta tutta la verità!”.
La lettera analizza la situazione che si sta vivendo nel carcere di Secondigliano ma al tempo stesso in tutti i penitenziari italiani in questo momento di crisi sanitaria dovuta al coronavirus. “Come da norme ministeriali è stata richiesta una distanza di sicurezza minima obbligatoria, al fine di ridurre al minimo il contagio. Spiegateci però – si legge ancora-noi come facciamo a rispettare questa benedetta distanza? Dunque vi chiediamo un intervento concreto e tempestivo in quanto nella realtà in cui viviamo sarebbe una vera e propria pandemia. Tenendo conto che comunque entrano ed escono agenti penitenziari, medici e operatori che potrebbero essere portatori del virus. E’ pur vero che avete iniziato con un primo decreto, un primo passo…ma è poco, troppo poco! Il sovraffollamento persisterà ancora e la nostra paura è che il tempo a nostra disposizione sta diminuendo, forse potrebbe essere questioni di giorni o addirittura di ore che il Covid-19 dilaghi tra noi e porti una strage indescrivibile e impensabile. Questa è la nostra paura, noi vogliamo solo che venga rispettato il nostro diritto alla vita, null’altro! Ma per fare ciò, c’è bisogno di ridurre il numero dei detenuti nei nostri penitenziari, che supera di gran luna la reale capienza, anche se a popolare le nostre carceri c’è anche un elevato numero di detenuti in attesa di essere giudicati. E magari, dopo anni, considerata la lentezza processuale italiana (a tutti nota) dovuta alla considerevole mole di lavoro, vi sarà magari per quest’ultimi una sentenza di assoluzione, e intanto oggi rischiamo addirittura la morte.
Dunque, chiediamo, a voi tutti, a chi ne è di competenza, il coraggio di deliberare una decisione che sia seria e radicale, anteponendo il nostro diritto alla vita a qualsivoglia pregiudizio o inutile lotta tra partiti.
Per concludere facciamo riferimento alle parole del presidente De Luca: “L’epidemia al sud sta per esplodere in maniera drammatica, i prossimi giorni da noi sarà un inferno! Siamo alla vigilia di un’espansione gravissima del contagio….” E quindi ci chiediamo “NOI CHE FINE FAREMO?”
Per questo vi chiediamo accoratamente di non essere dimenticati, per noi questo malefico virus significa morte certa. Speriamo che qualcuno ci ascolti e prenda in mano al più presto questa nostra grave e triste realtà”.
La lettera è firmata “REPARTO 54 DEL CARCERE DI SECONDIGLIANO”
Articolo pubblicato il giorno 28 Marzo 2020 - 11:36