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Intrusione in archivi riservati non attinenti alle indagini: carabiniere condannato a sei mesi di reclusione

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Eboli. Sei mesi di reclusione, pena sospesa, per un carabiniere che violava il sistema informatico. Per ben trentatré volte, il militare era entrato nello Sdi, il sistema di indagine, cioè la banca dati delle forze dell’ordine, dove vengono archiviati le notizie relative alle pendenze ed ai reati di tutti i cittadini.

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Il carabiniere vi era entrato senza la necessaria autorizzazione, in primis senza alcuna indagine che potesse giustificare le sue connessioni abusive. Pur essendo un militare, dunque, aveva infranto la legge. Da qui è nata l’indagine che ha poi portato al processo da poco concluso al tribunale di Salerno con la condanna in primo grado. Attraverso il suo avvocato di fiducia, il carabiniere ha scelto un rito alternativo. Così il processo si è svolto senza testimoni. La pena è stata patteggiata e sospesa. Condanna ridotta secondo quanto previsto dalla legge per chi ammette le proprie responsabilità. Il carabiniere, a quanto è trapelato, non perderà il posto di lavoro. La sentenza non è definitiva.

A Salerno si è celebrato il processo di primo grado. Nel frattempo, però, il militare è stato trasferito in un’altra caserma, a Eboli non svolgerà più attività. Il trasferimento era già avvenuto mesi fa motivandolo con un “provvedimento disciplinare”. Del reato commesso si è appreso solo in seguito. A processo celebrato. Ora il militare avrà un altro incarico, in altra sede, lontano dalle complicità che si era creato entrando abusivamente sui profili di persone ignare, su cui non aveva alcun diritto di conoscere pendenze e dettagli penali. L’articolo 12 della legge 121/81 punisce “il pubblico Ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni della presente legge”.

Non è dato sapere per quali fini il carabiniere si fosse introdotto nello Sdi e avesse consultato i profili di tante persone. Né se dal sistema di indagine avesse “sconfinato” nelle altre banche dati interforze acquisendo ulteriori informazioni senza la necessaria autorizzazione. Non è il primo caso di un pubblico ufficiale che viola la privacy dei cittadini per scopi personali e non di indagine. Vi sono, in proposito, anche diverse sentenze della Corte di Cassazione che hanno analizzato a fondo la condotta illecita, distinguendone diversi profili. In alcuni casi, meno gravi, si è trattato solo di “abuso” della propria autorizzazione, in altri, invece, il pubblico ufficiale in questione aveva “rivenduto” le informazioni raccolte in favore di agenzie di investigazione. Al momento non è trapelato altro riguardo il carabiniere un tempo in servizio a Eboli. Non è escluso che le informazioni acquisite dallo Sdi potrebbero creare problemi ad altre persone.


Articolo pubblicato il giorno 9 Marzo 2020 - 19:32

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