Nelle mani dei magistrati ci sono circa diecimila detenuti per i quali, per la nota situazione dell’emergenza sanitaria da coronavirus ed all’interno di un quadro giuridico già normato e certo, ci sono alcune condizioni di sospensione pena che i tribunali di sorveglianza ed il magistrato potrebbero portare fuori dal carcere secondo una “proposta” di provvedimento di natura esclusivamente “sanitaria-umanitaria””. È quanto sostiene il segretario generale del S.PP. Aldo Di Giacomo: “Il magistrato di Sorveglia può concedere licenze ai detenuti in semilibertà e permessi a quelli sottoposti a regime art.21 per un massimo di 45 giorni, un periodo che consentirebbe di “governare” la fase oggi più acuta di diffusione del contagio da coronavirus e allentare le tensioni nelle carceri”. In proposito – spiega il segretario del S.PP. Di Giacomo – il tribunale di sorveglianza può avvalersi di tre leggi: la 354/75 che regolamenta la detenzione domiciliare; la 199/2010 (cosiddetta legge Alfano) e la 207/2003 (cosiddetto indultino). Il Tribunale di Sorveglianza – è bene precisarlo – può intervenire nei casi di richiesta da parte dei detenuti con pene residue inferiori ai due anni e solo in alcuni casi superiori. Come è bene precisare che questi benefici non sono automatici e sono applicabili in presenza di una serie di requisiti, primo fra tutti la buona condotta. La platea degli eventuali aventi diritto supera abbondantemente le 25 unità. Come sindacato e in coerenza con la battaglia ingaggiata per la legalità e per il riconoscimento del lavoro dei servitori dello Stato – polizia penitenziaria – ovviamente sappiamo bene che nessun appartenente a clan o organizzazioni criminali, per intenderci sottoposti al 41 bis, potrà mai beneficiarne.
Siamo consapevoli che in assenza di norme specifiche e di un’assenza totale di decisioni politiche non c’è altra strada perché né il migliaio di nuovi agenti di polizia penitenziaria né le risorse destinate agli istituti che hanno subito i danni provocati dalle rivolte di questi giorni serviranno nel breve-medio periodo a risolvere l’emergenza che nelle carceri è sanitaria ma anche di sicurezza. Per questo appare necessario per i prossimi mesi avvalersi dell’esercito per presidiare l’esterno dei penitenziari; inoltre, serve con urgenza un provvedimento di legge semplicissimo ed in tempi rapidissimi che scoraggi altre rivolte prevedendo contro chi partecipa a proteste, istiga, devasta, aggredisce il personale di polizia penitenziaria o altri detenuti più deboli, utilizzi telefonini o chi cerca di introdurre cellulari, siano applicate pene severe non inferiori nel minimo a 5 anni e in regime di reclusione duro”.
Articolo pubblicato il giorno 15 Marzo 2020 - 09:44