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Napoli, fallimenti pilotati al Gran Bar Riviera per truffare il fisco

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Uno “schema truffaldino e proditorio” ultradecennale, adottato dagli indagati, “in dispregio di qualsiasi regola di convivenza civile”. Cosi’, il gip di Napoli Fabrizio Finamore, ha definito il “modus operandi” di una storica famiglia di imprenditori napoletani, a cui e’ riconducibile il noto locale partenopeo “Gran Bar Riviera”, che, secondo i pm titolari dell’indagine, per decenni ha evitato di pagare imposte al Fisco e contributi ai dipendenti mettendo insieme “fondi neri” per qualche milione di euro. Tutto falsificando la documentazione contabile e utilizzando, negli ultimi tempi, anche dei prestanome. Dalle indagini della Guardia di Finanza di Napoli emerge, nuovamente, il nome del conosciuto commercialista Alessandro Gelormini, agli arresti domiciliari nell’ambito di altre indagini, che, secondo l’ipotesi degli inquirenti della terza sezione della Procura di Napoli coordinata dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, sarebbe stato determinante per la realizzazione degli illeciti. Il meccanismo fraudolento messo in piedi dagli indagati (Alberto, Simona e Marina Nunziata e Gelormini) a cui i finanzieri hanno notificato quattro divieti di dimora nel Comune di Napoli e il sequestro preventivo delle quote societarie della Gros Riviera srl in liquidazione e del suo complesso aziendale (finiti sotto la custodia di un amministratore nominato dal giudice) ha consentito l’appropriazione indebita di circa tremila euro a titolo di ‘stipendio’ per ciascuno degli indagati. Intanto venivano omessi gli adempimenti contributivi per i dipendenti, i pagamenti delle tasse all’Erario e anche le fatture ai fornitori. Il denaro sottratto dal Gran Bar Riviera e gli introiti delle bouvette della Fnac del quartiere Vomero di Napoli (che ha chiuso i battenti già qualche anno fa) confluivano in una cassa comune. Alla contabilità “ufficiale”, hanno scoperto i finanzieri, si affiancava un’altra contabilità, parallela, memorizzata esclusivamente su dispositivi Usb che ne consentivano la rimozione dai computer all’occorrenza. Nell’ultimo periodo, infine, il meccanismo si è “arricchito” della figura del prestanome, uno dei quali è risultato essere un dipendente il quale, per conservare il suo posto di lavoro, si è reso disponibile a ricoprire la carica di amministratore.

 


Articolo pubblicato il giorno 19 Febbraio 2020 - 07:46
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