<strong>Napoli. “Gli studi dimostrano che il sostegno reciproco tra persone malate di cancro attraverso le community online può essere molto efficace perché si riduce molto lo stress, cosa che va a vantaggio della motivazione del paziente all’interno del suo percorso terapeutico. Inoltre, in questi gruppi i pazienti trovano quel conforto che non sempre trovano nello specialista, spesso più professionale che empatico. Se ben usata, la tecnologia può essere quindi di grande aiuto sia al medico che al paziente”. Questa la convinzione di Michelino de Laurentiis e Nicola Maurea, a chiusura del Congresso Internazionale di Cardioncologia all’Hotel Excelsior di Napoli.Oltre ai due Co-presidenti del Congresso Maurea e De Laurentiis, rispettivamente Direttore della Struttura Complessa di Cardiologia e Direttore del Dipartimento di Oncologia Senologica dell’Istituto Tumori Fondazione G. Pascale, l’appuntamento è stato organizzato con il Direttore Generale Attilio Bianchi e il Direttore Scientifico Gerardo Botti in partnership con l’ MD Anderson Cancer Center di Houston, Università del Texas.
Tra i relatori, anche Juan C. Lopez-Mattei, autore della relazione Come l’uso dei social media può migliorare la ricerca e la pratica clinica in cardioncologia . Secondo Lopez Mattei la presenza degli specialisti sui social è fondamentale e quello più adatto a loro è Twitter: “Linkedin infatti serve più a mettere in evidenza il proprio curriculum mentre Facebook è più “friendly”. Twitter invece conferisce allo specialista maggior autorevolezza anche quando vuol rilasciare una sua dichiarazione sul web. Non a caso la comunità dei cardiologi ha come hashtag su Twitter #cardiotwitter. Qui gli specialisti condividono la loro expertise, compresa la Cardioncologia.” Lopez, inoltre, suggerisce ai medici di curare molto il proprio account Twitter perché più followers si raggiungono, più i propri messaggi possono essere divulgati attraverso l’infinito mondo del web. Ma, aggiunge: “la cosa fondamentale sono gli hashtag che permettono di interagire nell’ambito dello stesso argomento con migliaia di persone contemporaneamente, nelle varie parti del mondo: più si costruiscono relazioni attraverso twitter, più nascono le collaborazioni e più si espande il network accademico”.
E i pazienti? Fanno larghissimo uso del web, anche quelli oncologici: lo dimostra una indagine realizzata dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri su 537 pazienti coinvolti attraverso l’AIMAC (Associazione Italiana Malati di Cancro). I risultati dicono che 1 paziente oncologico su 3 utilizza almeno una app dedicata alla salute e 7 pazienti su 10 le ritengono molto utili per capire meglio il proprio stato di salute. In ogni caso Internet è un punto di riferimento fondamentale per 3 malati su 4 e Google è utilizzato per cercare informazioni nel 62% dei casi anche se i siti web istituzionali delle società scientifiche, delle istituzioni sanitarie e delle associazioni di pazienti (40%) sono considerati più affidabili. Gli strumenti digitali per comunicare con il proprio medico sono le email e Whatsapp (53% e 41% rispettivamente), gli sms nel 16% dei casi mentre poco impiegati sono Facebook, Messenger, Skype e Telegram.
Quanto alle online communities tra pazienti, il loro successo è sempre crescente: “Grazie a queste realtà – afferma Maurea – i pazienti non si sentono soli nell’affrontare la propria malattia e poi l’effetto emulazione è di grandissimo aiuto, perché l’esempio positivo di un paziente può incoraggiare gli altri ad imitarlo e a darsi forza vicendevolmente con un sostegno psicologico che rivela tutti i suoi benefici soprattutto nei momenti più difficili. In questo modo, il contatto tra persone che hanno vissuto l’esperienza del cancro può essere molto efficace nel ridurre lo stress psicologico”.
“Inoltre, – aggiunge De Laurentiis – all’interno delle community online si dialoga in tempo reale con gli altri, superando qualsiasi tipo di barriera, da quelle anagrafiche a quelle geografiche a quelle sociali; possiamo parlare di una interazione realmente democratica. Inoltre, poichè si condividono le stesse sensazioni ed emozioni, gli appartenenti alla community sono pronti non solo a raccontare ma anche ad ascoltare, aiutando la cosiddetta “gestione emozionale” della malattia e sopperendo alla carenza di empatia che ancora troppo spesso esiste nel rapporto tra medico e paziente”.
Articolo pubblicato il giorno 1 Febbraio 2020 - 14:19