Scrivono di essere “in tantissime” quelle che negli anni sarebbero state avvicinate dal professore accusato da una studentessa di 20 anni e che hanno avuto tra loro un lungo confronto “per capire che quello che e’ successo a una e’ lo stesso copione avvenuto per tutte, con sfumate chiaramente diverse”. E’ la lettera aperta delle studentesse di Belle Arti di NAPOLI, pubblicata dalle attiviste di ‘Non una di mano NAPOLI’ su Facebook, in riferimento all’indagine della magistratura a seguito della denuncia di una ragazza per una presunta violenza da parte di un docente che si e’ dimesso. In “tantissime”, come scrivono, “ad essere state colpite dalla politica di terrore, dalla violenza e dalla possibilita’ di non sottrarci anche solo a ricevere un complimento non gradito, un messaggio su chat mai richiesto, obbligate a rispondere anche quando non avremmo mai voluto, ci siamo spesso chieste: come si fa a non rispondere anche soltanto con un ciao ad un docente li’ dove a legarci e’ il rapporto di subordinazione che ci fa dubitare che qualsiasi cosa non detta possa ritorcersi contro di noi?”. Parlano di situazioni che “in piu’ casi, erano giunte a chi avrebbe dovuto tutelarci all’interno dello spazio accademico, uno spazio che immaginavamo protetto, dotato anch’esso di misure che non avrebbero mai dovuto esporci a cosi’ tanta violenza”. Le studentesse, nel loro testo, parlano di “re-interpretazione di una vicenda collettiva che agli occhi dei media e degli interessati vuole essere ridotta ad un unico caso singolo”. “Ci fa ancora piu’ rabbia la leggerezza con cui ci vengono date delle soluzione o ci vengono presentate delle strade che ‘avremmo dovuto prendere’ – aggiungono – quando non si ha la minima nozione di cosa ha rappresentato per noi vivere nel terrore per anni”.
“Non vogliamo piu’ docenti molestatori, vogliamo strumenti che ci tutelino e vogliamo una presa di posizione netta dell’Universita’ contro gli abusi di potere, sessuali, avances e molestie – scrivono – Siamo consapevoli che non saranno le inchieste giornalistiche, le false promesse a rendere questo spazio sicuro per noi, ma possiamo e dobbiamo essere solo noi, tutte insieme, a fare in modo che quello che e’ successo a noi, non accada mai piu'”. Nella lettera raccontato di essere in tante “quelle che durante i test di ammissione siamo state rintracciate, quando ancora non iscritte al corso e ignare del risultato della prova dal docente che aveva gia’ deciso cosa farne dei nominativi delle candidate che volevano accedere ai corsi scelti”. In tante quelle che avrebbero dovuto sostenere la prova orale con un altro professore e “ci siamo ritrovate, per sua richiesta, a sederci dinanzi a lui. Sicuramente siamo in tante quelle che successivamente siamo state contattate dopo aver svolto la prova orale e scritta, quando i risultati non erano ancora usciti”. “Alcune di noi – scrivono – si sono sentite dire alla prova d’accesso che il nostro profilo non era indicato per il percorso di studi scelto ma avremmo dovuto ‘fare l’attrice’. Ci chiediamo come questo docente, prima ancora che avesse i nostri indirizzi elettronici avesse i nostri nominativi da usare per la ricerca su social network”. “Abbiamo vissuto a lungo con umiliazioni pubbliche durante il corso di questo docente, trattate malissimo e – sottolineano – per quelle tra di noi che avevano deciso di mandarlo a quel paese via chat, e’ iniziato un calvario, per alcune durato anni. Esami rimandati e esami a cui siamo state bocciate almeno tre volte, esami che siamo riuscite a superare soltanto con la presenza di un accompagnatore/trice”. “Siamo state molto spesso invitate ad uscire sempre con la proposta di riuscire ad ottenere uno stage, un lavoro o ad approfondire il nostro ‘percorso formativo’ – si legge ancora – Richieste di foto, richieste di informazioni in alcun caso collegate al rapporto docente-studente insomma un calvario che per molte di noi e’ stato davvero frustrante”.
Articolo pubblicato il giorno 20 Febbraio 2020 - 12:48