“Da noi si è verificata la situazione più sfortunata possibile, cioè l’innescarsi di un’epidemia nel contesto di un ospedale, come accadde per la Mers a Seul nel 2015”. Così in un’intervista al Corriere della Sera il professore Massimo Galli, ordinario di Malattie infettive all’Università degli Studi di Milano e primario del reparto Malattie infettive dell’ospedale Sacco. “Purtroppo, in questi casi, un ospedale si può trasformare in uno spaventoso amplificatore del contagio se la malattia viene portata da un paziente per il quale non appare un rischio correlato: il contatto con altri pazienti con la medesima patologia oppure la provenienza da un Paese significativamente interessato dall’infezione – spiega Galli -. Chi è andato all’ospedale di Codogno non era stato in Cina e, fra l’altro, la persona proveniente da Shanghai che a posteriori si era ipotizzato potesse averla contagiata è stato appurato non aver contratto l’infezione. Non sappiamo quindi ancora chi ha portato nell’area di Codogno il coronavirus, però il primo caso clinicamente impegnativo di Covid-19 è stato trattato senza le precauzioni del caso perché interpretato come altra patologia”.
Che cosa è accaduto dopo l’entrata del virus nell’ospedale di Codogno? “L’epidemia ospedaliera implica una serie di casi secondari e terziari, e forse anche quaternari. Dobbiamo capire ora bene come si è diffusa l’infezione e come si diffonderà – aggiunge l’esperto -. Che poi la trasmissione sia avvenuta inizialmente davvero in un bar o in un altro luogo andrà verificato quando avremo a disposizione una catena epidemiologica corretta. Quello che si può dire di sicuro è che queste infezioni sono veicolate più facilmente nei locali chiusi e per contatti relativamente ravvicinati, sotto i due metri di distanza”. Perché tutti questi casi proprio in Lombardia e in Veneto e non altrove? “Probabilmente – afferma Borrelli – perché Lombardia e Veneto sono le regioni in cui sono più intensi gli scambi con la Cina per ragioni economiche e commerciali, e in cui c’è inoltre un’importante presenza di cittadini cinesi. Non è detto che il primo a portare il virus in Italia sia stato un cinese, potrebbe essere stato anche un uomo d’affari italiano di ritorno da quel Paese”.
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