Ventidue condanne, molte rideterminate al ribasso, sono state emesse dalla Quarta Sezione Penale della Corte d’Appello di Napoli nell’ambito del processo bis che vedeva coinvolte anche le figlie del boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, Katia e Teresa, per una serie di estorsione che sarebbero state effettuate ai danni di imprenditori e commercianti.
I giudici napoletani hanno rigettato l’appello proposto dal pubblico ministero nei confronti di Katia Bidognetti e Giovanni Lubello, confermando le condanne inflitte a Katia Bidognetti (6 anni), Teresa Bidognetti (3 anni), Giuseppe Bianchi (11 anni), Raffaele Manfredi (7 anni e 8 mesi), Dionigi Pacifico (15 anni), Amerigo Quadrano (11 anni) e Giuseppe Verrone (6 anni). E’ stato dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di Umberto Maiello, Francesco Puoti e Vincenzo Schiavone per un capo di imputazione, con la pena rideterminata a 6 anni e 2 mesi a testa. Ridotte le pene per Ciro Aulitto a 6 anni ed 8 mesi e 7mila euro di multa; Antonio Baldascini a 5 anni e 6mila euro di multa; Gaetano Cerci a 10 anni; Mirco Feola a 5 anni e 4 mesi; Carmine Micillo a 6 anni ed 8 mesi; Luigi Bitonto a 5 anni; Domenico D’Alterio a 5 anni; Giacomo Simonetti a 5 anni; Vincenzo De Luca a 7 anni, un mese e 10 giorni in continuazione con un’altra condanna (per quest’ultimo, difeso dall’avvocato Franco Liguori, è stata disposta anche l’immediata scarcerazione); Ciro Taurino a 76 anni, 4 mesi e 20 giorni; Orietta Verso a 3 anni ed 8 mesi; Stanislaso Cavaliere a 3 anni e 2 mesi. Disposta l’immediata scarcerazione (se non detenuti per altra causa) anche per Ciro Taurino, Stanislao Cavaliere, Teresa Bidognetti ed Orietta Verso.
Gli imputati erano accusati, a vario titolo, di estorsione ai danni di imprenditori di Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Villa Literno, Cellole, Castel Volturno, Acerra e Roma. Nel mirino degli esattori del clan era finita anche una prostituta albanese residente a Giugliano ed un resort di Cellole. Secondo gli inquirenti Katia Bidognetti avrebbe ricevuto ordini direttamente dal padre, attraverso un sistema di messaggi ed allusioni, durante i colloqui in carcere.
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