Saper scrivere è un dono, ma essere scrittori è anche frutto di compromesso. È questo il contesto nel quale si muove lo spettacolo “Lumache”, testo e regia di Pietro Juliano, in scena al Teatro Tram da giovedì 20 a domenica 23 febbraio.
Tre attori sul palco – Cinzia Cordella, Nello Provenzano, Peppe Romano – per raccontare la storia di Lea Crivello, scrittrice vecchia maniera alla ricerca di un nuovo editore per il suo romanzo, e del suo incontro con Manuel Montedoro, giovane e agguerrito editor che lavora per una grande Casa Editrice, disposto a pubblicare il suo romanzo a condizione che Lea sia disposta a dare qualcosa in cambio.
Juliano – con una lunga esperienza nel cinema (ha lavorato, tra i tanti, con Roberta Torre al fianco di Luigi Lo Cascio in “Mare nero”) e in prodotti televisivi (Gomorra 5 La serie, I Cesaroni 5) ma anche nel doppiaggio (Kung Fu Panda) – torna con un proprio lavoro teatrale e lo fa nella raccolta sala di via Port’Alba.
“Essendo cresciuto da sempre in un contesto operaio, in cui il sacrificio era direttamente proporzionale all’interesse comune, non ho, forse per genetica estensione, mai pensato a nulla che potesse lontanamente avvicinarsi all’ambizione o al successo – dichiara Pietro Juliano – . Gli obiettivi si: ma non a tutti i costi! Nel tempo cresceva la mia curiosità verso tutto ciò che, ossessivamente, veniva perseguito da persone che erano disposte a fare tutto il possibile pur di soddisfare il proprio desiderio. Obiettivo e desiderio. L’uno funzione strettissima dell’altro. Ma cosa è più necessario per sentirsi vivi? Il desiderio in se o l’oggetto del desiderio? Ho associato sempre una certa debolezza a quelle persone che rincorrevano un compromesso per accelerare il processo di realizzazione di un desiderio. L’idea di affrontare questo argomento parte da molto lontano, ponendomi in una posizione neutra rispetto alle parti (chi utilizza la propria posizione di superiorità per trarne più potere e dall’altro, chi potenzialmente è disposto a tutto per trarne un beneficio più rapido), interrogandomi anche sulla condizione che assume in sé chi rifiuta di scendere a compromessi e vedersi scavalcare puntualmente non per meriti bensì per dinamiche frutto del “do ut des”. “Stare nelle cose” è un altro spunto che mi ha spinto a chiedermi se abbandonare davvero ciò che si è scelto di fare nella vita, per vocazione o meno, sia l’unico modo di dimostrare a se stessi che si ama veramente. Spesso mi capita di osservare che restituiamo, per la maggiore, solo abitudine verso ciò che amiamo, senza renderci conto che solo spostandoci lentamente si è in grado di raggiungere una visione più ampia di ciò che facciamo e di ciò che siamo. Ecco: la lentezza. Altro elemento che, indissolubilmente, si lega al nostro “fare” e “stare” nelle cose e nelle persone. Ho associato questi pensieri inevitabilmente alla lumaca, noto non solo per questa caratteristica, ma anche perché porta con se un’enorme guscio (peraltro estremamente fragile) che serve a proteggersi al minimo pericolo. Il parallelismo tra la lumaca e l’uomo, nasce dal fatto che il frenetico susseguirsi di decisioni che questi ultimi sono chiamati a prendere, sia nel privato che nel pubblico, potrebbero rendersi meno nocivi e più fruttuosi se maturati con lentezza, al punto, evidentemente, da lasciare un segno più maturo e critico per le generazioni a venire. La scelta di un gruppo di attori (Nello Provenzano-Cinzia Cordella-Peppe Romano) extraordinario e carico di umanità, che per carattere e personalità, singolarmente, sono tanti opposti ai personaggi da loro interpretati, ha reso il lavoro insieme, stuzzicante, spingendolo verso quel limite stesso che l’attore tenta di superare: essere ciò che non si è nella Vita di tutti i giorni! Sono felice che un Teatro come il TRAM, nella persona del suo direttore artistico Mirko Di Martino, abbia creduto in questo progetto, che spero, lentamente, possa crescere!”.
Note di regia
Cosa siamo disposti a sacrificare di noi stessi pur di raggiungere un obiettivo?
Siamo consapevoli della forza necessaria a disposizione per realizzare il nostro obiettivo? Quanto siamo disposti a cedere pur di ottenere ciò che desideriamo si realizzi? Tendenzialmente la nostra esistenza pur prevedendo il compromesso, nel suo manifestarsi ci mette in difficoltà, perché veniamo meno, nella migliore delle ipotesi, a quella nostra condizione etica, morale ed esistenziale.
Da questo punto di vista il compromesso è per la maggiore da ritenersi negativo, in special modo quando, nonostante la sua accettazione, otteniamo in parte o per niente il risultato sperato.
Si può identificare in chi accetta un compromesso, una persona debole, svogliata o indecisa, perché riteniamo, con un occhio esterno, che avrebbe dovuto e potuto fare a meno di accettare le condizioni proposte, anche a rischio di abbandonare l’obiettivo tanto desiderato.
Non di meno, l’accettazione di uno stato emotivo inferiore a quello possibile con altra scelta diversa dal compromesso, ci svilisce al punto da non riuscire più a prendere la decisione migliore per se stessi.
Molte persone sono fortemente penalizzate dal proprio lavoro che, magari importante e gratificante, li obbliga comunque a molte rinunce. Spesso non si rendono conto che i loro compromessi dipendono dal vincolo del lavoro, vincolo che loro reputano (consciamente o no) inamovibile, mentre invece dovrebbe far parte di una visione più generale della vita e come tale essere messo in discussione.
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