L’escalation di minacce al segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria (S.PP.) Aldo Di Giacomo che perdurano da molti mesi – tra le quali il pacco bomba fatto recapitare nella sua abitazione, lettere e mail dai toni chiaramente di intimidazione ed altro – ha raggiunto l’apice, sicuramente più grave, con l’arrivo a casa di Di Giacomo di una lettera contenente due proiettili di arma da fuoco e un messaggio di minacce dirette a lui e alla sua famiglia. Siamo di fronte ad un atto di pericolo imminente per la vita del nostro segretario e della sua famiglia che come tale richiede una risposta immediata ed adeguata, vale a dire all’altezza della gravità della minaccia. È evidente l’intimidazione rivolta al suo operato e quindi alle sempre più frequenti iniziative che lo vedono continuamente a Napoli ed in Campania dove ha attuato una campagna di mobilitazione per denunciare, senza reticenze, quanto accade dentro le carceri campane, a cominciare da Poggioreale, definito una “zona franca” dove tutto può essere ammesso per il semplice fatto che lo Stato ha ammainato bandiera bianca e delegato il controllo ai capi clan. Poggioreale è un carcere dove lo Stato ha fallito. Da segretario di uno dei Sindacati di Polizia Penitenziaria, che a differenza degli altri, da anni conduce una battaglia senza alcun tentennamento, senza lasciarsi intimidire o limitandosi al ricorso ai soliti comunicati di formalità, per denunciare che la criminalità organizzata – dai clan mafiosi, di ‘ndrangheta, camorra agli ultimi arrivati della mafia nigeriana – controlla gran parte delle nostre carceri e vede la “resa incondizionata” dello Stato. Di Giacomo, nell’anno appena concluso, ha realizzato un lunghissimo tour attraverso i principali istituti penitenziari del Paese, soprattutto ha evidenziato la gravissima situazione dell’istituto di Poggioreale, sit-in e conferenze stampa davanti le carceri, nelle piazze, a Roma davanti il Parlamento e il Ministero di Grazia e Giustizia in attuazione del Programma di iniziative con lo slogan “noi le vittime, loro i carnefici”. Tanti i casi denunciati e “provati” dell’attuale sistema carcerario troppo buonista e permissivo nei confronti dei detenuti che punta persino all’abolizione del 41 bis: dai continui ritrovamenti di telefonini, sistemi di trasmissione di “pizzini” agli uomini del clan, dubbi suicidi, detenzione di droga, sesso in cella.
La campagna di mobilitazione popolare ha sempre saldato i problemi del sistema penitenziario con quelli della più complessiva sicurezza dei cittadini che ritengono intollerabile ritrovare fuori dal carcere criminali che si sono macchiati di atroci delitti, in tanti casi “in permesso premio”. Per questa ragione sono sin troppo chiari gli obiettivi dell’ennesima pesante minaccia e per questo siamo convinti che lo Stato, con tutte le sue articolazioni democratiche, non farà mancare non la semplice solidarietà, non può sufficiente, quanto il sostegno a poter continuare a svolgere l’attività sindacale e civile. Confidiamo inoltre nella reazione dei cittadini che, numerosi, non hanno mai fatto mancare il proprio sostegno a Di Giacomo.
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