Il filosofo Filippo Cannizzo è stato in visita al vicolo della cultura di Napoli, per donare alcune copie del suo libro “Briciole di Bellezza. Dialoghi di speranza per il futuro del Bel Paese”. Camminando per le strade del Rione Sanità di Napoli, Cannizzo ha definito il vicolo della cultura un esempio vivente di una rigenerazione urbana che è anche rigenerazione “umana”. Riempie il cuore vedere quante persone in un freddo pomeriggio d’inverno si trovano a cercare e passeggiare per il primo vicolo della cultura d’Italia, nato dall’impegno e dall’idea dalle ragazze e dai ragazzi dell’associazione “Opportunity” (che ha sede nei locali di un bene confiscato alla camorra e che si trova sulla stessa strada). La bellezza contro l’odio, la bellezza contro la camorra, la bellezza contro l’omertà, bellezza per costruire una nuova idea di comunità e di impegno civile. Tra libri, opere di street art, foto, colori e installazioni artistiche, dove tre secoli fa nacquero le prime forme di illuminazione grazie alle edicole votive, oggi le edicole culturali illuminano di bellezza il quartiere, la città, le persone. Per Cannizzo, ogni piccolo borgo e ogni grande città dovrebbe avere un vicolo o una strada o una piazza della cultura. Ogni comune dovrebbe avere una piazza della cultura, e questa idea dovrebbe trovare posto anche nella urgente legge sulla bellezza in Italia di cui il filosofo Cannizzo è promotore, perché la bellezza può essere il modo per ricostruire il tessuto umano e sociale del nostro Bel Paese, perché la bellezza è una straordinaria forma di coesione e inclusione sociale, oltre a rappresentare una opportunità di sviluppo economico e di buona occupazione, perchè la bellezza è una speranza aperta nel cuore della società. In questo vicolo di Napoli sembrano risuonare le parole di Peppino Impastato: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.
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