Quando il clan Contini venne a sapere che Vincenzo De Feo si era pentito, si scateno’ il panico. Era uno dei primi collaboratori di giustizia della cosca napoletana dei Contini, forte della grande omertà tra gli affiliati, che poteva far veramente male a boss e affiliati. E infatti le sue accuse servirono a incastrare oltre 100 persone tra spacciatori, estorsori, riciclatori e colletti bianchi. Nonostante avesse una gravissima forma di balbuzie, De Feo era in grado di spiegare come la cosca del rione Arenaccia, nei pressi dell’aeroporto di Napoli, avesse messo sotto scacco mezza città. Fu così allora che la cosca si servì proprio dello zio del collaboratore di giustizia, Alfredo De Feo, per fargli arrivare un messaggio di morte nel luogo dove era stato messo sotto protezione. L’uomo avvicinò la madre, le zie e sorelle per arrivare a sapere dove fosse il giovane pentito e per minacciarlo, chiedendo di avere a tutti i costi almeno il numero di cellulare. Anche il boss Nicola Botta in persona che avvicinò questa volta luna coppia di zii di De Feo, intimando loro di consegnare le chiavi di casa e di lasciare il quartiere.”Ti faccio fare la stessa fine del datore di lavoro”, dice il boss dopo aver fermato in strada una donna ritenuta colpevole di non rivelare la località protetta del pentito. Chiaro riferimento – secondo la ricostruzione della Dda di Napoli – all’omicidio Catalano, consumato a Napoli dodici anni fa. In un’altra occasione, il boss avrebbe chiesto di incontrare il pentito in un ristorante, per un pranzo in famiglia, spingendo un’altra donna a dichiarare: “Voleva ucciderci tutti. In passato, i Contini hanno ucciso tre dei miei fratelli, è chiaro che non avrebbe esitato ad ammazzare noi e il nipote” . Ci sono i racconti dei pentiti e delle vittime di estorsione che hanno trovato la forza di parlare con la Dda, nell’ordinanza firmata dal gip di Napoli, Saverio Vertuccio, notificata da polizia e carabinieri questa mattina. Oltre a De Feo e Botta, in carcere anche Massimo Fiorentino e Giovanni Rubino. Nella misura anche le richieste estorsive del clan. In un caso, a un uomo fu imposta una tangente a rate di 200 euro al mese da pagare con le cambiali. In un altro, una vittima doveva dare 15 mila euro al mese per continuare a gestire le slot machine nella zona centrale di Napoli; 10 mila euro era il ‘pizzo’ imposto al gestore di una pompa di benzina nei presi dell’aeroporto.
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