“Mi sono scocciato delle rapine… dobbiamo schiattare (scoppiare, ndr) la testa alla gente? Io schiatto la testa alle gente, ok?”. Emerge anche la volontà di “fare carriera” nella Camorra dell’hinterland partenopeo, passando dalle rapine agli omicidi per fare soldi e acquisire potere, dalle intercettazioni contenute nell’ordinanza di custodia cautelare del gip di Napoli gip Rossella Mauro che ha disposto 18 arresti in carcere notificati oggi dagli agenti della Polizia di Stato. La conversazione, risalente al dicembre del 2018, vede protagonisti due componenti il gruppo ritenuto dalla DDA di Napoli contiguo al clan Moccia, Francesco Carpentieri e Rosario Garzia. In un’altra intercettazione Garzia, parlando con la moglie mentre é in auto, fa riferimento al controllo criminale acquisito dal suo gruppo camorristico e agli “sfratti”, cioè l’allontanamento dalle abitazioni nella zona di loro competenza di personaggi legati a clan rivali “perdenti”. Tra i 18 arrestati del blitz figurano anche elementi di spicco di famiglie camorristiche legate al clan Moccia, che fanno affari illeciti tra Casoria e Afragola: si tratta di Renato Tortora, Ciro Serrapiglia e Domenico Tuccillo, figlio del defunto Gennaro Tuccillo, detto Zi’ Sante (persone già condannate o imputate). Renato Tortora, insieme con i due figli e la moglie, controllava le attività criminali a Casoria e dava sostentamento non solo ai suoi uomini ma anche a quelli del clan Moccia detenuti i quali, una volta finiti in cella, venivano sostituiti da nuove leve nominate proprio da Enrico Tortora. Referenti dei Moccia sul territorio di Afragola, invece, in stretta simbiosi con il sottogruppo di Casoria, erano Ciro Serrapiglia e Domenico Tuccillo, imputati in altri procedimenti di associazione camorristica e detenzione di armi. Erano loro ad avere una sorta di “libro mastro” degli esercizi commerciali da taglieggiare, diverse decine, che stavano per essere sottoposte al “pizzo” in occasione delle imminenti festività natalizie. Le indagini scaturiscono da un tentato omicidio risalente al 2018 quando, a San Pietro a Paterno, venne ferito gravemente Giuseppe Fonzo, ritento vicino a un componente di alto rango del clan Moccia, Pietro Iodice, detto anche “Pierino a Siberia”. L’attività delle forze dell’ordine ha consentito di sequestrare anche un fucile a canne mozzate e una bomba a mano agli estorsori del gruppo camorristico.
Il clan imponeva il pizzo ad esercizi commerciali e nei cantieri edili presentandosi alle vittime come “gli amici di Casoria”, ma il 15 maggio scorso, due degli arrestati, Gianni Urgherait e Gennaro Ferrara, durante il loro “tour estorsivo” in auto, si trovano a fare i conti con il coraggio di un imprenditore. La circostanza emerge da un’intercettazione ambientale (nella vettura dei due c’è una cimice, ndr) contenuta nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Rossella Mauro (38esima sezione). La vittima, dopo avere palesato ai suoi aguzzini i problemi economici con Equitalia, ha un sussulto di orgoglio e reagisce, concordando un “pizzo” da 500 euro che si dice a corrispondere ma solo quando avra’ a disposizione i soldi. Vittima: “…ho 28mila euro, qualcosa come 28mila euro da pagare all’Equitalia…” Urgherait: “…questo non è un problema nostro…” Vittima: “…io non sono obbligato…ve lo dico bello e chiaro, per me imposizioni non ce ne sono…imposizioni per me non se ne fanno…altrimenti sparami qua…subito… sparami qua, va bene sparami qua…” Vittima: “se hai coraggio sparami qua… 500 euro e non te li do adesso ma quando prendo i soldi…sono due anni che sto lavorando Gennaro (Ferrara, ndr)… e devo apparare tutti i guai che tengo”
Articolo pubblicato il giorno 11 Dicembre 2019 - 06:24
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