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Vicenda banda Corpo Polizia Penitenziaria a matrimonio famiglia boss camorrista: Di Giacomo, condividiamo denuncia “La trasmissione ‘Non è l’Arena’

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La trasmissione “Non è l’Arena”, di Massimo Giletti, su la 7, ha l’indubbio merito di riaccendere l’attenzione sulla vicenda di alcuni componenti della Banda musicale del Corpo Polizia Penitenziaria che, tempo fa, hanno suonato al matrimonio della vedova di un boss della camorra insieme ad un cantante neo-melodico napoletano e che, per tale ragione, sono stati sospesi dal servizio. La trasmissione se ne sta occupando da due puntate e almeno noi non abbiamo alcuna intenzione di ignorare i fatti o come altri di sminuirli, tanto più dopo l’ultima dichiarazione choc del cantante neo melodico napoletano nell’ultima trasmissione per il quale “la camorra è una scelta di vita che va rispettata””. E’ quanto afferma il segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo che aggiunge: “a differenza di altri sindacalisti che hanno polemizzato con Giletti, come il segretario dell’Osapp, condivido quanto il giornalista continua a sostenere in trasmissione, come condivido le considerazioni del magistrato Sabella, in coerenza con quanto ho dichiarato all’epoca dei fatti al sito web fanpage, condannando subito senza se e senza ma il comportamento disinvolto degli agenti penitenziari. Se a qualcuno è sfuggito, voglio ricordare che quel matrimonio ha sancito la riappacificazione tra due famiglie camorriste in precedenza antagoniste e quindi non ci sono giustificazioni, alibi ed attenuanti che possano in alcun modo reggere. Ritengo inoltre che la Banda musicale del Corpo Polizia Penitenziaria, creata per fini di immagine istituzionale, debba esibirsi solo ed esclusivamente in eventi e manifestazioni di carattere istituzionale o di solidarietà e mai e poi mai debba partecipare a matrimoni di famiglie di camorristi”

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“Piuttosto che prendersela con il giornalista , che fa bene il suo mestiere, penso che quelle stesse sigle sindacali della Polizia Penitenziaria che puntano a scaricare ogni colpa su direttori delle carceri e sul capo del DAP farebbero bene a fare una seria – e mai tentata prima – autocritica innanzitutto ammettendo le responsabilità per non essere in grado di contribuire, attraverso la concertazione seria con l’Amministrazione Penitenziaria, e quindi attraverso proposte credibili, ad una efficace ed effettiva tutela del personale e, contestualmente, al cambiamento del sistema penitenziario. La verità – continua il segretario del S.PP. – è che i sindacati dei penitenziari, badando solo alle tessere, in una corsa di competizione tra sigle e a rivendicazioni limitate, hanno perso di vista l’obiettivo centrale della difesa del personale,

diventando in questo modo co-responsabili all’attuale deflagrazione del sistema carcerario. Il risultato è che è in atto una campagna mediatica di delegittimazione degli agenti che non si è in grado di contrastare, ricercando un capo espiatorio, mentre in tre anni le violenze al personale sono aumentate del 300 per cento, i suicidi di agenti del 120 per cento, le condizioni di lavoro sono sempre più massacranti.

È ora di finirla di fare sindacato, tra l’altro con gruppi dirigenti per l’80 per cento formati da pensionati e quindi senza un adeguamento ricambio generazionale, senza affrontare i problemi veri e intervenendo solo, con comunicati, a fatti avvenuti. Siamo l’unico sindacato di categoria che non si è rinnovato con gli stessi dirigenti da troppi anni, battendo persino il record dei sindacati bulgari. L’inadeguatezza dei gruppi dirigenti delle sigle sindacali della penitenziaria è sin troppo evidente perché non si riesce a tenere testa ai grandi cambiamenti intervenuti negli anni”.


Articolo pubblicato il giorno 28 Novembre 2019 - 22:16

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