L’invecchiamento del cervello, con la diminuzione progressiva di nuovi neuroni, che porta al morbo di Alzheimer, puo’ essere rallentato, e anzi si puo’ invertire il trend favorendo un vero e proprio “ringiovanimento”. E’ quanto scoperto da un team di ricercatori italiani dell’istituto Ebri, che hanno appurato che la nascita di nuovi neuroni nel cervello adulto (neurogenesi) si riduce in una fase molto precoce della malattia di Alzheimer. Tale alterazione e’ causata dall’accumulo nelle cellule staminali del cervello di aggregati altamente tossici della proteina beta Amiloide, chiamati A-beta oligomeri. Il team e’ riuscito a neutralizzare gli A-beta oligomeri nel cervello di un topo malato di Alzheimer introducendo l’anticorpo A13 all’interno delle cellule staminali del cervello, riattivando la nascita di nuovi neuroni e ringiovanendo cosi’ il cervello. In particolare, i ricercatori hanno dimostrato come la strategia messa a punto nei laboratori dell’Ebri permetta di ristabilire la corretta neurogenesi nel modello di topo studiato, recuperando dell’80% i difetti causati dalla patologia di Alzheimer nella fase iniziale. Lo studio interamente italiano, coordinato da Antonino Cattaneo, Giovanni Meli e Raffaella Scardigli, presso la Fondazione Ebri Rita Levi-Montalcini, in collaborazione con il CNR, la Scuola Normale Superiore e il Dipartimento di Biologia dell’Universita’ di Roma Tre, e’ stato pubblicato di recente sulla rivista Cell Death and Differentiation. “L’importanza di questa ricerca e’ duplice: da un lato – spiegano Scardigli e Meli – dimostriamo che la diminuzione di neurogenesi anticipa i segni patologici tipici dell’Alzheimer, e potrebbe quindi contribuire ad individuare tempestivamente l’insorgenza della malattia in una fase molto precoce; dall’altro, abbiamo anche osservato in vivo, nel cervello del topo, l’efficacia del nostro anticorpo nel neutralizzare gli A-beta oligomeri proprio all’interno dei neuroni”. Per la prima volta, infatti, sono stati intercettati e neutralizzati sul nascere i singoli “mattoncini tossici” che formeranno le placche extracellulari di A-beta (l’attuale bersaglio terapeutico della malattia di Alzheimer), prima che questi provochino un danno neuronale irreversibile. Questa ricerca pone dunque le basi per lo sviluppo di nuove strategie utili per la diagnosi e la terapia di questa malattia neurodegenerativa. “Riuscire a monitorare la neurogenesi nella popolazione adulta offrira’ in futuro un potenziale strumento diagnostico per segnalare l’insorgenza dell’Alzheimer in uno stadio ancora molto precoce, cioe’ quando la malattia e’ clinicamente pre-sintomatica. Inoltre – conclude Cattaneo – l’utilizzo terapeutico dell’anticorpo A13 permettera’ di neutralizzare gli A-beta oligomeri dentro i neuroni, laddove si formano per la prima volta, colpendo cosi’ l’evento piu’ precoce possibile nell’evoluzione della patologia”.
Articolo pubblicato il giorno 25 Novembre 2019 - 20:44

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