Matteo Messina Denaro, Giovanni Motisi, Rocco Morabito, Renato Cinquegranella. Sono due mafiosi, uno ‘ndranghetista e un camorrista i primi quattro superlatitanti inseriti nella lista dei “most wanted” stilata dal Viminale. Lista che – dopo l’arresto del camorrista Marco Di Lauro il 2 marzo scorso a Napoli – comprende anche un quinto e ultimo nome, quello di Attilio Cubeddu: niente Mafie per lui ma un ruolo da protagonista nell’Anonima sequestri sarda. Il più conosciuto, e pericoloso, di tutti resta Messina Denaro, “u siccu”, “il magro”, letteralmente sparito nel nulla nel ’93, l’anno delle bombe a Milano, Firenze e Roma, dopo una vacanza a Forte dei Marmi con i fratelli Graviano: è ricercato in campo internazionale – precisa la scheda della Direzione centrale della Polizia criminale – per “associazione di tipo mafioso, omicidio, strage, devastazione, detenzione e porto di materie esplodenti, furto ed altro”. Figlio di Francesco, capo della cosca di Castelvetrano e del relativo mandamento, nell’ultima tranche dei suoi 57 anni ha visto farsi “terra bruciata” intorno a colpi di arresti e sequestri di beni ma continua a restare imprendibile. Protagonista di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia – Matteo Messina Denaro secondo molti inquirenti non sarebbe il capo di Cosa nostra ma sicuramente continua a rivestire un ruolo di assoluto rilievo: la rivista “Forbes” lo ha incluso tra i dieci latitanti più pericolosi del mondo. Difficile distinguere il vero e il falso in quello che di Messina Denaro raccontano informatori e pentiti: che, beffando chi lo bracca da anni, vivrebbe in Sicilia, spostandosi di continuo; che si sarebbe sottoposto in Bulgaria (o in Piemonte) a una plastica ai polpastrelli e al viso; che avrebbe seri problemi agli occhi e ai reni, tanto da aver bisogno della dialisi; che godrebbe della protezione dalla ‘ndrangheta. Di volta in volta, c’e’ chi lo ha collocato sulle tribune del “Barbera” per un Palermo-Sampdoria, chi su una spiaggia greca, in vacanza con la compagna Maria, chi in una casa di Baden, in Germania. Ma la caccia resta aperta. A lui come a Giovanni Motisi, “u pacchiuni”, “il grasso”, 59 anni, palermitano doc, ricercato dal ’98 per omicidio, dal 2001 per associazione di tipo mafioso e dal 2002 per strage: quattro anni fa e’ finito anche nella lista dei criminali più ricercati dall’Europol. Ha l’ergastolo da scontare, il killer di fiducia di Totò Riina, secondo un collaboratore di giustizia presente anche quando si parlo’ per la prima volta di ammazzare il generale Dalla Chiesa. Nel ’99, durante la perquisizione della sua villa di Palermo, spunta una fitta corrispondenza tra lui e la moglie Caterina, bigliettini recapitati da ‘postini’ fidati assieme a vestiti e regali. Ed e’ dello stesso anno l’ultima ‘apparizione’ certa in Sicilia di “u pacchiuni”, alla festa di compleanno della figlia: nelle foto ritrovate diversi anni dopo risaltano le pareti coperte con lenzuola bianche per non far riconoscere il posto. Da allora, più niente o quasi tanto da alimentare il sospetto – ricorrente nelle grandi latitanze – che Motisi possa essere morto. Un’altra ipotesi è che abbia cercato, e trovato, riparo in Francia: l’esattore del racket Angelo Casano ha raccontato che nel 2002 Motisi ‘perse’ la reggenza di Pagliarelli a vantaggio di Nino Rotolo e che per un paio d’anni si nascose nell’Agrigentino, ‘terra’ di Giuseppe Falsone. Boss arrestato nel 2010 dalla Gendarmeria francese a Marsiglia. Latitante per quasi meta’ della sua vita e’ stato Rocco Morabito, 53 anni, tornato ad essere “primula rossa” della ‘ndrangheta dopo la clamorosa evasione dell’estate scorsa dal carcere di Montevideo. Parente di Giuseppe, detto u’tiradrittu, e affiliato a una delle più potenti ‘ndrine della Locride, a 22 anni viene arrestato mentre studia all’Università di Messina per minacce a un docente. Dopo l’assassinio del fratello Leo, vittima di un agguato mafioso ad Africo, si sposta a Milano, dove vive uno zio a sua volta soldato di ‘ndrangheta, e comincia la sua carriera di narcos che lo vede tenere i contatti con i cartelli della droga colombiani. Dopo essere stato condannato a 30 anni per associazione di tipo mafioso e traffico di droga, dal ’95 finisce nell’elenco dei latitanti pericolosi e probabilmente cerca riparo in Brasile, dove cura maxispedizioni di cocaina, prima di spostarsi in Uruguay. Quando nel settembre del 2017 la polizia arriva al suo indirizzo di Punta del Este, il suo esilio dorato tra ville con piscina, resort e auto di lusso sembra arrivato definitivamente al capolinea ma le procedure per l’estradizione vanno per le lunghe e il 24 giugno scorso Morabito, con altri tre detenuti, ‘esce’ da un’apertura nel tetto dell’infermeria del carcere “Central” di Montevideo. I suoi compagni di fuga vengono presi dopo pochi giorni, lui no. Boss della camorra napoletana, classe 1949, anche di Renato Cinquegranella si sono praticamente perse le tracce dal 2002. Ricercato per associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro. Il suo nome compare nelle cronache di uno degli omicidi che piu’ ha scosso Napoli, il massacro del capo della Mobile Antonio Ammaturo e del suo autista, Pasquale Paola, il 15 luglio 1982 per mano delle Brigate Rosse. L’episodio confermo’ l’esistenza di un ‘patto scellerato’ tra le Brigate Rosse e i capi-zona della camorra del centro di Napoli. Dal dicembre 2018 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, finora senza esito. Anche di Attilio Cubeddu, l'”ultimo bandito” di Ogliastra non ci sono più tracce da tempo, e anche di lui si dice che sia passato a miglior vita, forse ucciso. Nato nel 1947 ad Arzana, in provincia di Nuoro, brucia le tappe della carriera criminale e partecipa in Toscana ed Emilia Romagna ai rapimenti di Cristina Peruzzi, Ludovica Rangoni Machiavelli e Patrizia Bauer: arrestato nell’aprile dell”84 a Riccione e condannato a 30 anni, si guadagna diversi permessi premio con la sua condotta da detenuto modello. Peccato che il 7 febbraio del ’97 al carcere di Badu ‘e Carros attendano invano che rientri da uno di questi permessi: e da latitante cede presto al vecchio ‘vizietto’, restando coinvolto nel sequestro di Giuseppe Soffiantini (è lui il custode dell’ostaggio). E’ ricercato in campo internazionale, ma chi tuttora gli dà la caccia è convinto che viva protetto dalla sua terra e da una rete di fiancheggiatori: la moglie 63enne e la seconda figlia abitano ancora nella casa di Arzana confiscata dal Ros, un edificio di quattro piani che un anno prima era stato passato al setaccio dallo stesso Ros, insieme con altri due appartamenti del paese. Cercavano Cubeddu, i carabinieri. E si cercano i vivi, non i morti.
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