Nel disastroso panorama delle crisi aziendali al Sud, tra Whirlpool, Jabil, Arcelor Mittal e chi più né ha più né metta, a molti sarano sfuggite le vicissitudini dei lavoratori dipendenti della sede napoletana di Almaviva Contact S.p.A., a rischio licenziamento dopo l’ennesimo cambio di appalto concretizzatosi in questi lunghi mesi di passione.
Azienda, tra i maggiori outsourcing nazionali nel settore dei call-center, divenuta nota a livello nazopnale per la vertenza del 2016, fatalmente conclusasi con il licenziamento collettivo di 1.666 operatori della sede di Roma e il salvataggio (cosi venne propagandato all’epoca dai mass-media nazionali) dei lavoratori napoletani, costretti ad accettare un accordo che prevedeva la sospensione del TFR e degli scatti d’anzianità per il consolidamento del sito.
Tre anni di sacrifici e false promesse
All’ombra dei riflettori i lavoratori hanno affrontato mesi di cassa integrazione (oltre al citato accordo) prima di rientrare a lavoro, dopo un adeguato periodo di formazione, su una nuova commessa: il contact center di INPS. Dopo la delocalizzazione in Romania dello storico cliente Vodafone, un committente pubblico, seppur in regime di subappalto, diventa la “voce forte” nel quadro economico del sito partenopeo e i risultati, estremamente soddisfacenti anche sulle altre attività, confermano il grande impegno dei lavoratori, decisi a raggiungere il tanto agognato “punto d’equilibrio”, obiettivo imprescindibile per uscire dal tunnel, rafforzare la produttività del sito e ottenere – dopo tante pene – le eterne promesse (rimaste tali) dell’aumento di livello e del passaggio contrattuale a 6 ore. Un sogno a occhi aperti per una platea lavorativa caratterizzata, per la stragrande maggioranza, da part-time involontari a 4 ore.
Nel settembre 2019 il “punto di equilibrio” tanto atteso viene raggiunto. Finalmente una vittoria, direte voi. Nulla di tutto ciò, perchè nel frattempo è giunto l’ennesimo, amaro colpo di scena: la gara d’appalto per la gestione del contact center INPS sfugge di mano alla RTI Transcom/Covisian/Almaviva e viene aggiudicata alla RTI Comdata-Network Contacts con un ribasso (non inerente il costo del lavoro) di oltre l’81%. Inutili i ricorsi degli attuali gestori del servizio, tutti (compreso il committente) ritengono assolutamente legittima la condotta dei vincitori, i quali affermano, fin da subito, di voler rispettare la clausola sociale, assorbendo l’attuale forza lavoro del sito napoletano di via Brin.
Tutto risolto? Non proprio: nei vari incontri tra i principali protagonisti del più grande cambio d’appalto del settore emergono discrasie nei numeri dei lavoratori aventi diritto: 559 persone secondo Almaviva, circa 400 secondo Comdata che, utilizzando come condizione di passaggio i 6 mesi continuativi ed esclusivi nel periodo antecedente al 2 agosto 2019, ritiene non aventi diritto oltre 150 lavoratori colpevoli (non per propria scelta ma per direttiva aziendale) di essere stati spostati su altre commesse.
In questo scontro nel quale persino l’ente previdenziale italiano – dopo tanti proclami – si è prontamente dileguato, unendosi ai vari “carnefici” di questa storia, le uniche vittime saranno ancora una volta i lavoratori Almaviva, divisi fra chi passerà nella nuova realtà aziendale, aggrappandosi all’illusione dell’internalizzazione del servizio (proposta recentemente convertita in legge ma dalle dinamiche ancora molto incerte) per non ricadere in un futuro baratro, e chi – per mere logiche di profitto – vedrà svanire anche questa fragile “scialuppa di salvataggio”, con l’orizzonte spettrale della cassa integrazione e del successivo licenziamento, nel complice e inetto silenzio delle istituzioni locali e nazionali.
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